OMELIA 24a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» . (Mc 8, 27-35)

 

 

«Ma voi, chi dite che io sia?» (v. 29), è la domanda che Gesù rivolge ai suoi.

«Ma per te, io chi sono?»,  è la domanda capitale che Gesù rivolge a me personalmente oggi, in questa mia storia.

 

Chi è Cristo per me?

Ognuno è chiamato a dare la sua risposta personale.

I personaggi citati nel brano di oggi hanno già dato il loro responso.  Per questi, Gesù pare fosse un fantasma o un morto. Elia, i profeti, Giovanni il Battista erano infatti già tutti cadaveri da un pezzo. Ora, la relazione con un morto, per quanto grande potesse essere in vita, non sarà mai in grado di trasformare un’esistenza.

Ma tra i contemporanei di Gesù, ve ne sono alcuni che hanno risposto diversamente; son coloro che l’hanno frequentato lungo le polverose strade della Palestina, gli sono stati accanto cogliendo lentamente la sua verità più profonda: rappresentazione dal vivo del volto di Dio amore e misericordia, immagine del Dio invisibile (Col 1, 15).

Essi ebbero la chiara percezione che l’uomo Gesù si muovesse nelle cose di ogni giorno, attingendo vita, linfa e sostegno all’interno di sé, a quella sua sorgente interiore, che pian piano  imparò – e in seguito insegnò – a chiamare Dio.

Da questo tesoro nascosto, recuperava l’arte della relazione, il sapersi rivolgere alle persone senza mai giudicarle, con un infinito rispetto, uno sguardo in grado di far rinascere coloro sul quale si posava. Era là dentro che attingeva da una parte quella fiducia nella bellezza e nella dignità insita in ciascun uomo, dall’altra l’energia necessaria perché sotto le sue mani gli occhi dei ciechi si aprissero, le orecchie dei sordi si schiudessero e i paralitici potessero tornare a danzare.

Chi gli stava accanto, veniva liberato dalla potenza degli ‘spiriti maligni’, ossia da quella pesantezza che fa di questa vita una vita malata e un’esperienza di tristezza.

 

Gesù è stato per gli uomini e le donne del suo tempo, l’amico che ha aiutato a guardare il mondo in modo diverso, a scoprire ciò che sta sotto la scorza dura dell’apparenza, a rendersi conto che ciò che è veramente importante non è mai l’immediato, ma il non visibile, il nascosto dietro a ciò che il mondo ha insegnato a chiamare realtà.

Gesù ha sempre contestato ai cosiddetti saggi – religiosi o pagani che fossero –  di ritenere ‘normale’ una vita assurda, affermando invece che è pura follia ciò che il mondo ha da sempre ritenuto normale. Perché non è normale che una ragazza di dodici anni muoia, senza poter sbocciare alla vita (cfr. Mc 5, 39), che l’amico più caro fosse prigioniero di un sepolcro (Gv 11, 1ss.), che una prostituta fosse una condannata pubblica (Lc 7, 36ss.), che un lebbroso fosse un morto vivente (Mc 1, 40), che un’adultera fosse carne da lapidare (Gv 8, 1ss.), che il denaro fosse il ‘tutto’ (Lc 12, 15) e che il luogo normale per tutti i poveri disgraziati di nome Lazzaro fosse la soglia della casa dei ricchi epuloni (Lc 16, 20).

 

Per quegli uomini Gesù era colui che mostrò con i gesti, pagandolo con la vita, che l’uomo è più grande di ogni cosa e che è da porsi sopra a ogni cosa. Anche di Dio. Perché sperimentò sulla sua pelle ciò che volesse dire mettere Dio al di sopra degli uomini: giustificare in nome di Dio le più atroci azioni sugli uomini.

 

«Gesù è colui verso il quale continueremo a camminare per sempre. Lui che ci ha donato la speranza e la fiducia nell’eternità, lui che è lo stabile fondamento della nostra vita. Lui che ci ha insegnato a sentirci figli di Dio, fratelli e sorelle tra noi. E la sua figura e le sue parole sono in se stesse via e verità che ci fa vivere veramente. Più andiamo avanti per la strada della nostra vita nel modo in cui lui ci ha preceduto (cfr. Mc 16, 7), più ci accorgeremo di essere più belli, forti, felici ma soprattutto sentiremo crescere in noi il desiderio dell’eternità» (Eugen Drewermann).

 

Questo è ciò che loro dicevano fosse Gesù, il Cristo.

Ma «voi chi dite che io sia»?