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  • OMELIA 6a Domenica Tempo Ordinario anno A

    «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. 18In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. 19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
    20Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
    21Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.
    23Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
    25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. 26In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!
    27Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
    29Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. 30E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
    31Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio". 32Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
    33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti". 34Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, 35né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. 36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37Sia invece il vostro parlare: "Sì, sì", "No, no"; il di più viene dal Maligno».

    «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (v. 20). È chiaro che per Gesù vi sono due tipi di giustizia. Una deriva dall’essere stati raggiunti dall’azione di Dio (grazia) e muove a rendere giustizia ai fratelli. Questa realizza il compimento del cuore, la felicità. Poi esiste un’altra giustizia, data dall’osservanza scrupolosa di tutta la legge e la normativa religiosa possibile; questa non porterà mai da nessuna parte, se non ad una profonda frustrazione e il nascere di sterili sensi di colpa qualora scopertisi incapaci di osservare tutto ciò che è stato prescritto. Questo tipo di giustizia prende il nome di legalismo.

    La legge non ha mai salvato nessuno! Contro questo tipo di giustizia, incapace di giustificare l’uomo, si scaglia ripetutamente Paolo: «L'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo; […] dalle opere della legge non verrà mai giustificato nessuno» (Gal 2, 16).

    Gesù invita ad usare una giustizia che superi il legalismo, la legislazione, con ciò che viene definito amore, e per far questo chiama in causa il cuore, perché solo dal cuore può scaturire l’amore.
    Salva solo ciò che scaturisce dal cuore.

    «Questo popolo mi onora con le labbra
    ma il suo cuore è lontano da me.
    Invano essi mi rendono culto,
    insegnando dottrine che sono precetti di uomini» (Mt 15, 8s.).

    Un genitore deve fare tutto ciò che comandano i codici di diritto nelle parti riguardanti la tutela del minore. Ma in tutto ciò il cuore del genitore non è ancora in gioco; non si può dire che questi sia mosso dall’amore. Quand’anche i genitori provvedessero a tutto ciò che è scritto, compiessero tutto ciò che la legge prevede, non vorrebbe dire ancora nulla. Senza l’amore verso quel figlio, non c’è paternità o maternità, non c’è vita. Di contro, anche senza conoscere una sola virgola di un codice, se un genitore ama con tutto il cuore suo figlio, sta compiendo certamente tutte le normative possibili e immaginabili.

    Nell’Antico Testamento si legge: «La giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica tutti questi comandi, davanti al Signore Dio nostro, come ci ha ordinato» (Dt 6, 24s.).

    Per Gesù, il Dio incarnato, è solo l’amore a suscitare vita, a fare in modo di vivere in pienezza. Per cui l’unica giustizia che rende giusti – ed auspicata da Gesù – è quella che scaturisce da un cuore nuovo, dallo Spirito che agisce in noi, donandoci la possibilità di amare.

    In questo brano evangelico molto lungo, vorrei fermarmi soltanto su alcuni versetti, per comprendere la logica evangelica che vi è sottesa, ovvero il pensiero di Dio sull’uomo.
    La legislazione dell’Antico Testamento dice: non uccidere (vv. 21-22). Ma Gesù precisa: non uccidere non è sufficiente, non basta. Per essere uomo nuovo, non basta astenersi da opere cattive, occorre fare il bene. Altrimenti un morto sarebbe un ottimo cristiano!
    Il Vangelo ti chiederà sempre di vivere in pienezza e di far vivere in sovrabbondanza.
    Gesù ci invita a domandarci: non credere che basti non uccidere l’altro, ma domandati quali sono i tuoi sentimenti verso l’altro, che posto occupa nella tua vita il fratello. ‘Non ucciderlo’ non è ancora sufficiente: gli hai dato vita, hai contribuito perché questi potesse cominciare a vivere? Gli hai donato quella dignità di cui è privo?

    I vv. 25-26 dicono che siamo tutti in cammino verso il giudice, immagine del termine della nostra storia, la morte. Ora, in questo cammino viviamo tutti delle relazioni ferite (avversari). Lo scopo della vita sarà dunque riconciliarci con l’altro, affinché questi passi da avversario a fratello. In questo caso egli non ti consegnerà al giudice (la tua vita non si consumerà nella morte, nell’insignificanza,) ma al Padre, ovvero la tua vita riposerà nell’amore per sempre, e per questo sarà sottratta alla morte.
    Da tutto ciò evinciamo che la nostra vita, e il nostro stesso futuro, è in mano all’altro, al fratello; è sempre l’altro che mi giudica, ovvero ha il potere di farmi vivere da risuscitato in questa vita (se lo amo), o vivere da cadavere (se lo ignoro)!
    Interessante è notare che qui non si parla di torti o ragioni verso l’altro, ma se non vai d’accordo col fratello, avrai sempre torto. Non c’è una relazione ferita ‘buona’ e una ‘cattiva’. Una relazione ferita è sempre cattiva, sia che tu abbia torto, sia che tu abbia ragione.

    «Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio» (vv. 27-30). Anche in questo caso ciò che salva non è solo di non commettere adulterio, ma fare del rapporto di coppia un “paradiso”, dove ciascuno permette all’altro di giungere a Cristo, il fine ultimo di ogni rapporto di coppia, amandosi. E il paradiso in una coppia, non si vivrà nel momento in cui tutte le tensioni, le zone d’ombra, le ferite scompariranno, ma quando in tutto ciò si vivrà il perdono, il recupero e l’abbraccio riconciliante.
    Per cui comprendiamo che il comandamento di Gesù non è più racchiuso in un’osservanza sterile di una legge, ma possibilità di vivere una vita nuova: «vi do un comandamento nuovo, amatevi» (Gv 13, 34). Non ha detto «vi comando di amarvi», ma «vi do il comandamento dell’amore». Possiamo amarci perché lui ci ha dato l’amore con cui poterci amare. Dio ci chiede solo ciò che previamente ci dona. In questo sta il significato di quel ‘nuovo’.

    Quello che Gesù è venuto a donarci, ovvero la bella notizia, non è una legge. La legge intende guarire il fare, il Vangelo rende possibile l’essere, rende nuovo l’uomo intero, trasformandogli il cuore. Si realizza con Gesù ciò che profetizzò Ezechiele: «Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica» (11, 17ss.); Gesù non propone nuove esigenze, fa un dono.
    Dio non ti obbliga, ti dona. E ciò che ti ‘comanda’ prima te lo ha concesso.

    «Donami o Dio ciò che mi comandi, e poi comandami ciò che vuoi» (Agostino).