OMELIA 13a Domenica Tempo Ordinario. Anno C

«Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: “Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”. 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. 58E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. 59A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. 60Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. 61Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. 62Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio”». (Lc 9, 51-62)

 

Il cristianesimo non è questione di adeguamento, ma di compimento.

Non siamo chiamati a imitare Cristo, ma a dargli compimento in noi stessi. La nostra vita non consiste nell’adeguarsi ad una verità estrinseca a noi, ma nel portare alle estreme conseguenze la verità della nostra stessa vita, ossia dare spazio al principio divino che è in noi sino a configurarci con esso.    

 

Il Vangelo di oggi ci dona anche il segreto perché tutto questo possa compiersi: abbandonare tane, nidi e padri.  Traducendo, potremmo affermare che è necessaria una decisione che rompa anzitutto con l’immagine della madre; tane e nidi sono infatti simbolo dell’utero materno, ossia il mondo dei bisogni e delle sicurezze.  Gesù invita a rompere con tutto ciò che ha a che fare con i nostri desideri, le nostre fiducie e certezze, di qualsiasi genere materiali, immaginifiche, religiose esse siano.

In un altro passo Gesù pare ancora più esigente e duro: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 26, versione del ‘74).

Ma questa rottura non va letta come una rinuncia fine a se stessa, ma piuttosto come possibilità per un’autentica libertà. È nel vuoto e nell’abbandono – ossia ciò che la mistica chiama puro silenzio – che il divino può finalmente compiersi in noi. L’io deve essere liberato non tanto da qualcuno o da qualcosa, bensì ‘per’ potersi compiere in pienezza. Attenzione tane e nidi possono includere anche le nostre immagini di Dio, il nostro presunto rapporto con lui nel quale siamo soliti provare protezione, comprensione, rifugio…  È interessante notare che solo nel momento in cui Gesù sulla croce grida: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27, 46; Mc 15, 34), può anche dire: «Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito» (Lc 23, 46).

 

Poi Gesù invita a rompere altresì con l’immagine del padre (v. 60), ovvero col mondo di quegli affetti, di quei doveri, di quei rapporti che hanno il potere di determinarci, di esercitare un forte influsso su di noi, dominandoci. Proviamo a chiederci: quanto potere abbiamo concesso alle ‘personalità forti’ incontrate sul nostro cammino, impedendoci di fatto di vivere la nostra vita fino in fondo?

 

Occorre insomma abbandonare i morti (cfr. 60), e slegarci da tutto ciò che presumiamo sia in grado di donarci vita dall’esterno. L’essenziale per vivere abita in noi. Occorre solo crederci fino in fondo, ossia prendere consapevolezza, e poi concederle spazio, lasciarla fiorire, affinché possiamo cominciare a vivere veramente.