OMELIA 14a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«[Gesù] partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. 6aE si meravigliava della loro incredulità. (Mc 6, 1-6)

 

Gesù «venne nella sua patria» (v. 1).

Con Gesù, Dio è entrato nella patria degli uomini: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Ma non solo ‘in mezzo a noi’, bensì in noi: carne della mia carne e sangue del mio sangue. Io sono la ‘patria di Dio’.

Fatto splendido! Dio, al fine di ‘essere con me e ‘per me’ ha scelto di farsi ‘come me’, semplice creatura, debole e fragile, perché l’amore porta sempre ad identificarsi con l’amato.

Questo vuol dire che ora la mia debolezza, la mia fragilità, la mia creaturalità sono luogo privilegiato dove poter incontrare Dio e farne esperienza. Ma soprattutto, che ogni mia debolezza, ogni mio limite, ogni mio peccato hanno un senso, perché Dio li ha assunti, li ha fatti propri, condivisi, abitati, trasformandoli così in luoghi di rivelazione. «Ciò che non è assunto, non è redento» (Ireneo di Lione).

Tutto questo pare essere follia, agli occhi degli uomini.

Infatti ‘i suoi’ (v.1), ovvero i destinatari stessi di questo amore folle, non possono credere che un Dio così possa esistere, e quindi – in ultima analisi – che tutto questo possa essere vero.

 

Il più grande peccato che possiamo commettere è proprio il ‘non credere all’amore’. Ritenere che un Dio condivida la sua vita con la mia, è solo sogno. La prima grande eresia della storia consisteva nel non accettare questa verità, cioè che Dio fosse carne umana, che condividesse la mia vita e quindi il mio male, il mio pianto, la mia sofferenza e il mio peccato.

Ma il Vangelo, la bella notizia è proprio questo: tutto ciò che è mio è anche di Dio! Ciò che io ora vivo, lo vive anche Dio, e grazie a questo, tutto viene trasformato e salvato: il male, il peccato e la morte stessa!

Noi vorremmo, come i concittadini di Gesù, un Dio ‘diverso’ da noi, che non avesse i nostri limiti, ma fosse piuttosto un super eroe, in grado per questo, di eliminare anche i nostri di limiti. Invece Gesù è venuto a rivelarci che il nostro Dio è uno che ha scelto di vivere con e nelle nostre stesse insufficienze e debolezze, e che non solo non le toglie a noi, ma le ha addirittura prese su di sé, le ha fatte proprie, mostrando in questo modo che son preziose, amabili perché sono materiale umano del suo amato, ovvero di me.

Ora, se Dio non ha disprezzato la nostra misera e fallace natura, tanto da assumerla, perché ritenuta cosa preziosa, questo significa che anch’io posso finalmente permettermi di accettarla, di abbracciarla e di amarla. Ciò che tanto ci scandalizza di noi stessi, diventa la nostra salvezza!

 

Credere questo, ovvero accettare, accogliere, sperimentare di essere amati nella nostra verità più disarmante, trasforma la vita.

Chi sono io? Sono il punto d’arrivo di sette milioni di anni di evoluzione; il mio carattere, la mia individualità, il mio modo di pormi, la mia personalità risentono di una storia precedente quasi infinita, di cui io non sono responsabile. Io sono oggi l’educazione ricevuta, il DNA che mi costituisce, le ferite subite, gli sbagli di genitori, insegnanti, educatori, il prodotto di amori falliti ecc. Io sono semplicemente ciò che non avrei voluto essere, solo avessi potuto scegliere.

Ma non ci si sceglie; sarebbe già tanto potersi accettare.

Eppure so, che io non mi risolvo in tutto questo. Io non sono solo il risultato di addizioni malate e inconsapevoli. Io sono anche una Presenza più profonda, che è mescolata nel mio essere più profondo. Sono l’Amore che si è mischiato al mio sangue, la carne divina che ha voluto assumere la mia, lo Spirito di benevolenza che ha riempito i miei polmoni; sono tutto ciò che dà senso a quello che vivo dandomi la sicurezza che ciò che diventerò non sarà un fallimento. Perché l’Amore che ora è in me salva, ovvero fa approdare in porto sicuro la piccola e fragile imbarcazione che è la mia vita.

E questa Presenza amorevole, continua ad essere parte di me, a fecondarmi, anche quando la vita mi fa compiere il male che non voglio, intraprendere strade sbagliate, ferendomi per gli sbagli compiuti.

Dio in me, sposerà sempre le conseguenze delle mie erranze.

Dio ama gli esiti delle mie scelte sbagliate (non approva le mie scelte sbagliate). Questo significa che dopo il male compiuto, la scelta sbagliata, il peccato commesso, l’Amore non abbandona, ma si schiera dalla mia parte, condanna il male, ma a me che l’ho compiuto dona nuova possibilità di vita, soffia su questa terra brulla e spoglia che sono, uno spirito di ricreazione, perché io possa rinascere dalle mie stesse ceneri.

Dio è alleato con me contro il potere devastante del male. Dio non mi condannerà mai perché ho sbagliato, ma frantumerà il male da me compiuto e recupererà  me che l’ho commesso.

 

«Lì non poteva fare nessun prodigio…» (v. 5).

Certo, se non si crede al potere dell’Amore, questo non potrà mai manifestarsi.

Fede significa dar credito all’azione del bene in noi. Vuol dire lasciar libero Dio di essere Dio, ossia l’amore folle che è. Vuol dire accoglierlo nelle nostre storie malate, e credere che lui sta realizzando il suo sogno: farle diventare sua storia.

Se credo a questo, si compirà il ‘prodigio’: rendersi conto di essere ‘carne e sangue’ di Dio.

Se accetto che Dio entri nella mia storia allora accetterò che la sua potenza si sperimenti proprio nella mia umanità, nei miei limiti.

Fede vorrà dire che per quanto la nostra umanità possa essere malata, ferità, limitata e bacata, lui ha il potere non di cambiarla, ma di abitarla.

E se il Vivente abita la mai storia così com’è, allora «anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23, 4).