OMELIA 18a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?».26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6, 24-35)

 

La folla scopre che Gesù ‘non è più là’, e comincia a mettersi sulle sue tracce (v. 24).

È in fondo il nostro problema di sempre: pensare che Dio sia là dove immaginiamo noi, e non trovandolo accusarlo di essersi nascosto.

E se fossimo piuttosto noi a non trovarci mai al posto giusto, dato che Dio è sempre e solo laddove si ama? Prima di accusare Dio di essersi nascosto, proviamo a pensare se non siamo noi ad aver disertato l’appuntamento.

 

Il Vangelo racconta che alla fine l’incontro avviene. La folla ritrova finalmente Gesù, e questi non si mostra molto tenero con loro: «voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani…» (v. 26).

Perché cerchiamo Dio? Perché ci garantisca il ‘pane’, ossia la vita, la salute, i soldi? Basterebbe decifrare in modo onesto le nostre preghiere per rispondere a questa domanda. Abbiamo ridotto il cristianesimo ad un self service religioso, dove ciascuno può trovare ciò che desidera, dai miracoli in qualche santuario mariano, a madonne in grado di ‘sciogliere i nodi’ della propria vita sgangherata, a polizze assicurative sulla salute, a santi e veggenti in grado di far miracoli…

E quando la salute, una certa stabilità economica e un po’ di tranquillità famigliare si affacciassero nella nostra vita, allora cominceremmo a cercare Dio per qualcosa di più sottile, di più raffinato: sensazioni forti a livello spirituale, una certa pace dell’anima, una sensazione di energia interiore, una vibrazione dell’anima…

In un’epoca dove si moltiplicano i centri benessere, rischiamo di ridurre il fatto cristiano e la Chiesa a una spa dei poveri. E i preti a psicoterapeuti gratuiti.

 

Si cercano sempre più i doni di Dio, e non Dio come dono.

Ciò a cui Gesù intende condurci è, invece, ad una relazione tra amanti.

Un rapporto di amore non può giocarsi sul dare e avere, ma sull’esserci. Il fine dell’amore è diventare ‘uno’ attraverso la relazione, il far spazio all’altro, sperimentare una sorta di fusione – senza confusione – come avviene tra il ferro e il fuoco, dove uno acquisisce le prerogative dell’altro.

Se non entro in questa comunione, dall’altro mi aspetterò sempre qualcosa, un vantaggio, una sorta di ricompensa alle mie richieste, alla mia religiosità, alla mia devozione.

Dio però non mi sta di fronte, come un dispensatore di grazie, doni e miracoli,  ma dentro; non è fuori di me, ma parte di me. Per questo la vita spirituale è infinitamente più grande e alta della vita religiosa; quest’ultima vive di prestazioni per un compenso, la vita spirituale è esperienza di un’unione nell’amore, da cui scaturisce uno stile di vita.

 

«Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna» (v. 27).

Datevi da fare…’. Il nostro quotidiano è tutto un continuo darci da fare. Siamo dal mattino alla sera indaffarati, ma alla fine, per cosa? A che pro?

Arriveremo anche ad avere molto ‘pane’, ossia ‘cibo’ abbondante in grado sul momento di saziarci, anche con gusto, ma senza la possibilità di durare…

Rischiamo di vivere una vita costruendo, edificando, accumulando, per poi accorgersi che dentro a tutto questo vi è nascosto come un tarlo che rode e distrugge ciò che si è costruito.

La questione è – come vuol farci intendere Gesù – saper discernere il cibo che non dura, per cui non merita investire una vita, da quello che invece rimane, e rimane talmente a lungo da oltrepassare anche la morte.

 

In pratica, cosa dobbiamo fare, quale opera compiere per possedere questo pane che non perisce?

Gesù dà una risposta che ci spiazza: «questa è l’opera di Dio, credere… » (v. 29). Gli uomini gli chiedono in concreto cosa debbano fare, quali opere compiere e lui risponde: ‘non è importante ciò che fai tu, ma anzitutto ciò che fa Dio per te! Credi a questo.».

Il cristianesimo non è anzitutto l’opera dell’uomo per il suo Dio, ma è la rivelazione piena di stupore e meraviglia di ciò che Dio sta operando nella vita dell’uomo! Per cui l’opera che salva la vita è credere all’opera che Lui sta compiendo in noi!

Il sogno di Dio è che io prenda coscienza e mi commuova dinanzi a quanto io sia importante e prezioso per lui; che mi accorga del suo amore preveniente, gratuito e soprattutto immeritato.

Dobbiamo acquisire occhi capaci di vedere l’opera di Dio in corso nella nostra vita. La questione sarà allora semplicemente credere, accogliere, dire sì a questo amore per me! Questa è l’opera che Dio si attende da noi.

Quando, nella vita, impareremo a reggere questo amore folle, questa luce abbagliante con cui siamo illuminati, questo peso di gloria su di noi, allora potremo lentamente cominciare anche a rispondere, a muovere i primi passi verso la ‘nostra opera’, che non potrà che essere simile all’amore con cui siamo stati amati: opera di misericordia, di accoglienza, di amore gratuito e immeritato verso i fratelli che ci stanno accanto.