OMELIA 22a Domenica Tempo Ordinario. Anno C

 

 

 

 

«Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8“Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. 12Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti“» (Lc 14, 1.7-14)

 

 

La Lettera agli Ebrei (prima lettura di oggi) ricorda ai cristiani come al tempo di Mosè vigesse un’idea di Dio tremenda, capace di incutere timore e tremore, sperando addirittura che non rivolgesse più la sua parola agli uomini tanto essa era paurosa (v. 19).  L’idea di un Dio nascosto in cielo tra nuvole e tenebre, che per entrare in contatto con l’umanità necessitava di una gerarchia: il Sinedrio all’apice a seguire gli anziani del Tempio, gli scribi, i detentori della legge, della morale, i farisei… e poi, alla base della piramide, gli uomini.

Gesù, in modo del tutto rivoluzionario, è venuto a dire e a mostrare, che questa immagine di Dio è blasfema, non corrispondente assolutamente al vero. In tutta la sua avventura terrena, Gesù ha sempre denunciato fortemente ogni piramide, ogni gerarchia che presumeva di mettere in contatto il cielo con la terra, come d’altronde ogni immagine di Dio paurosa, vendicatrice e giudicante.

Gli uomini sono figli che non devono subire il peso di alcun establishment religioso, preposto a gestire la mediazione tra Dio e l’uomo: nessun guardiano del Tempio e gestore del sacro!

Tra Dio e gli uomini non esistono mediatori, in quanto il rapporto dei figli con Dio-Padre è immediato: «Quando pregate dite Padre» (Lc 11, 2).

 

La Lettera agli Ebrei afferma con forza che per entrare in contatto con Dio e quindi con la Vita stessa, non solo non è necessaria più alcuna mediazione gerarchica e plenipotenziaria,  ma che la via da seguire non è più quella che punta dritta verso il cielo, bensì quella che passa per l’uomo. Insomma, siamo al consueto e folle paradosso evangelico: «Dio si incontra incontrando l’uomo e non incontrando Dio».

Gesù è venuto a liberare le coscienze in forza della consapevolezza che Dio suo Padre, non si trova sulla vetta della montagna, ma nell’incontro con l’uomo: “Nell’assemblea festosa” dei figli che si riconoscono tra loro fratelli (v. 22).

Si ‘conosce’ Dio ‘conoscendo’ l’uomo. E qui conoscenza ha tutta la portata evangelica che sappiamo, ossia di esperienza, passione e compassione.

È interessante notare come questa idea fondamentale nel Vangelo, tradita pressoché immediatamente dalla Chiesa nella storia, sia stata ripresa dal Concilio Vaticano II, ma purtroppo più come idea teorica che come opportunità di vera conversione:

«Il popolo di Dio è un popolo ‘regale’, non ha cioè né capi né re su di sé. È il popolo stesso re di sé stesso.

È un popolo sacerdotale, per cui non ci sono i preti fra lui e Dio perché lui stesso – il popolo – ha il sacerdozio. Siamo tutti sacerdoti in virtù del battesimo.

È un popolo profetico capace cioè di conoscere il futuro del regno di Dio, il futuro dell’uomo e non ha esperti che lo possa ammaestrare».

 

Dunque la Parola di questa domenica è tutta volta a rispondere alla domanda fondamentale: dove poter incontrare il nostro Dio?

Non in cielo, e non attraverso alcuna mediazione con i detentori del ‘potere celeste’ che a certe condizioni (morale, cultuale, rituale …) si arrogano il diritto di aprire o sbarrare le sue porte (cfr. Mt 23, 13), ma nell’uomo assetato e affamato. Il Vangelo di oggi è inequivocabile a questo riguardo.

La società che viene qui auspicata, quella conforme al sogno di Dio, non è quella formata da un gruppo religioso – nella fattispecie quello cristiano – che grida “Viva Dio”, o “io sto con Dio”, ma quella dove a tutti è dato sedersi alla medesima mensa per poter fare festa, senza distinzione tra ricchi e poveri condividendo in maniera equa i frutti della terra che è madre e perciò di tutti. «Questo è l’esser cristiani. Il nome di Dio viene dopo. È meglio che non si pronunci, per ora, perché ci imbroglia, e perché reintroduce un’idea creata dalla classe del potere. Solo se io amo il povero posso pensare a Dio senza sbagliare. Se non penso all’uomo, penso a Dio sbagliando. Questa è la verità che viene dal Vangelo» (Ernesto Balducci).