OMELIA Festa di tutti i santi. Anno B

«Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi». (Mt 5, 1-12a)

 

La festa di oggi, la festa di tutti i santi, parla di me, parla di ciascuno di noi.
Parla di quella parte di noi chiamata a venire alla luce, a sbocciare. La santità infatti non è altro che la nostra ultima vocazione: chiamato a ri-nascere (questo è il senso profondo di vocazione).
Santità è l’altro nome della felicità. Il santo è l’uomo giunto al porto della felicità.
Per cui l’uomo felice è l’uomo realizzato, compiuto, giunto a ‘maturazione’: è divenuto ciò che doveva diventare: se stesso. E questo non è questione di tempo cronologico.

La santità s’è detto è una rinascita. Siamo venuti alla luce, ora occorre ri-nascere. Dal punto di vista di Dio, noi possediamo una vita che è ‘oltre’ la vita biologica. Quest’ultima non è ‘tutta’ la nostra vita, è solo apparenza, quella che appare, che cade sotto i nostri sensi. Rimane importantissima, beninteso, ma è come se fungesse da radice, perché qualcos’altro possa nascere e crescere da essa. Le radici non sono ancora l’albero, il fiore, il grano che è destinato a venire. La felicità – il senso ultimo – per un seme sarà scoprirsi fiore, grano, albero. Ciò che deve essere.
Pensare che le radici siano già il compimento, è sancire il proprio fallimento.
La santità è portare alla luce ciò che è destinato a venire alla luce.

È nella vita ‘oltre’ che sta il senso dell’essere dunque. Non giungere alla santità, vorrà dire perciò vivere in modo insensato, un girare a vuoto, spendere molte energie, tempo (la vita stessa) e non arrivare mai al porto sospirato; una vita incompiuta insomma.
Oggi noi facciamo memoria di tutti i santi che ci hanno preceduti. Questo vuol dire che crediamo fermamente che queste esistenze giunte alla maturità, sono ancora, son presenti, vivono – pur in una modalità diversa dalla nostra – per sempre. Questo perché una vita divenuta sensata, portata a compimento, è destinata a non scomparire mai.

A questo punto una domanda: come vivere in modo da portare la nostra vita a compimento, in modo che possa resistere al tempo e quindi alla morte?
Il brano delle beatitudini appena ascoltato, ci rivela che l’unica modalità per una vita sensata è l’amore.
Il santo è l’amore che passa dalla possibilità al compimento. Il seme, se non fa esperienza delle conseguenze dell’amore, rimane solo e incompiuto (cfr. Gv 12, 24); questo vuol dire mettere in conto la prova e la sofferenza. L’iconografia della Chiesa antica ritrae i santi con le stimmate sulle mani e sui piedi. Le stimmate sono il simbolo dell’amore vissuto, che è andato fino alla fine. E Dio ci riconoscerà nell’ultimo giorno proprio per i segni dell’amore che porteremo impressi nei nostri corpi.
Gesù è salito al cielo, ci ricorda il Vangelo, con le sue ferite, e questo perché l’amore è assunto in Dio; ciò che è stato amato non è dimenticato ma impresso per sempre nella memoria di Dio. L’amore strappa dalla dimenticanza, dall’oblio e dal sepolcro.
Non è un caso che la Chiesa domani – giorno successivo alla festa di tutti i santi – c’inviti a celebrare la commemorazione di tutti i fedeli defunti: essa crede fermamente che i nostri cari, perché amati e perché amanti, non sono di proprietà della terra ma del cielo.