OMELIA Pentecoste. Anno B

«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». (Gv 15, 26-27; 16, 12-15)

 

 

Su di noi grava un’ignoranza mortale e rischiamo di vivere in un’inconsapevolezza totale.

Abbiamo perso la verità su noi stessi, e per sapere chi siamo ci affidiamo a voci improbabili.

Dentro la parte più intima di noi è però presente una voce che ha il compito di ripeterci, col ritmo del respiro, la nostra verità più profonda, di pronunciare il nostro vero nome. E se ce ne dimentichiamo, non dobbiamo scoraggiarci: questa presenza rimane.

Nei nostri viaggi deliranti in ogni ‘altrove’, essa rimane a casa ad attenderci.

 

È molto importante sapere chi siamo, perché l’uomo agisce in base a ciò che è. L’agire segue sempre l’essere.

Una vita consumata in superficie non potrà mai definirsi, vivrà di emozioni, ‘agitata’ e perciò non libera; tutt’al più in cerca della vivacità ma mai vivente.

Occorre scendere, scendere nella parte più nascosta del nostro essere. E lì far silenzio, facendo tacere tutte le immagini, le parole, i pensieri, i sogni sul futuro e i rimpianti del passato, per arrivare a prender coscienza di una Presenza che da sempre è lì, sommersa come un tesoro nei fondali d’un oceano (cfr. Mt 13, 44).

Occorre giungere a stupirsi di avere dentro di noi la stessa vita di relazione tra Gesù e il Padre, questo Amore potente da dare origine all’universo, ininterrotta preghiera tra il Padre e il Figlio; ora mi è concesso di introdurmi in questo rapporto di vita, posso parteciparvi, posso perdermi e inebriarmi di questo gioco d’amore che si chiama Spirito Santo.

Lo Spirito, che è vita di Dio in me è ora sangue del mio sangue, carne della mia carne, “aria dei miei polmoni e anima dell’anima mia” (J. Green), e tutto questo per semplice dono; non per merito ma per l’accadimento della grazia.

 

Nella stanza più intima del mio palazzo interiore (S. Teresa), scopro una presenza amante che mi narra la mia verità più profonda: che sono figlio amato, imbevuto dell’energia del Risorto, strappato dalla morte, promesso alla felicità certa.

Mi sussurra continuamente che son passato dalla morte alla vita, che posso permettermi cioè di non elemosinare più vita per sentirmi vivo: «E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8, 11).

 

Vivere fuori di questa stanza interiore, vivere nell’inconsapevolezza di stare immersi nella vita stessa di Dio, vuol dire vivere da ‘slogati’, senza un luogo, vagabondi esistenziali.

Perdere il centro vuol dire allontanarsi dalla propria identità; darsi in pasto ad una massa di voci che adulano per sbranare, o arrendersi a pronunciare come idioti il nostro stesso nome per finire annegati nel mare dell’ego, alla stregua di Narciso, che rimase folgorato nel cortocircuito d’un amore fallito.

 

Quella che noi siamo chiamati a definire preghiera, è il viaggio bellissimo alla conoscenza di sé. Mentre gradualmente ci distacchiamo dal nostro egocentrismo egoista, aumentiamo il sapere su ciò che veramente siamo. La preghiera è il viaggio dei poveri, di coloro che scoprono lentamente di essere semplici vuoti a perdere, ma abitati dalla Vita che rimane e che conserva per l’eternità.