OMELIA XVIII domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Lc 12, 13-21

Accumulare tesori per sé: ecco dove comincia la sofferenza.
Ogni grande tradizione spirituale lo grida in mille modi: chi s’illude di costruire sé stesso edificando sul potere, il successo, le sicurezze ha già perso la partita della vita.
T.S. Eliot si domanda con struggente lucidità: «Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?»
Sì, dov’è? Gesù ce lo ricorda senza ambiguità. C’è un solo modo per venire alla luce di Sé: morire a sé stessi. Non è un cupo invito al sacrificio, ma un richiamo al risveglio.
È la fine del sonno, l’inizio della Vita autentica. Sta qui l’evangelico ‘arricchirsi presso Dio’: spendere la vita non secondo le logiche del possesso, ma della verità; impegnarsi per ciò che non passa, nutrendo l’anima e non l’ego.
C’è una Vita oltre la vita: è questa che merita la nostra attenzione, la nostra dedizione, il nostro coraggio. Attenti però, non s’intende qui la vita dopo la morte, ma ciò che ora sta dietro il velo dell’illusione, dietro le quinte di quel palcoscenico sul quale stiamo recitando la nostra avventura umana. La Vita autentica è quella del Sé, e non del piccolo io egoico che ci muove e ci comanda.
Va da sé che l’unico vero ‘peccato mortale’ che esista è quello di vivere illudendoci che ciò che dà senso e fecondità alla vita siano ‘i granai pieni’, ovvero i traguardi raggiunti, le carriere fatte, gli oggetti e i corpi accumulati, l’essersi fatti un nome, il potere esercitato, il successo conseguito. In una parola il proprio io messo all’ingrasso. Tutte che cose magari anche belle, dice il Vangelo, ma incapaci di toccare la Vita.

Esistere non è ancora vivere. Gesù lo ha mostrato con tutta la sua esistenza.
«La sua morte non è l’esaltazione del nulla, della vanità,
ma è la negazione della vanità,
perché abbiamo capito, una volta per sempre,
che si può anche morire non morendo.
Chi muore perché c’è qualcosa di più grande della dialettica vita-morte – cioè l’amore – costui non muore» (Ernesto Balducci).
C’è una via di Vita che è metamorfosi continua. Sì, il corpo si consuma, si sfibra. Ma intanto, dentro, qualcosa cresce. Un’essenza segreta che matura, una presenza che si fa pienezza. Come ha intuito Paolo scrivendo ai Corinzi: «Non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16).
La vera Vita è nascosta, come un seme che lavora nella notte.
E chi la scopre, non trova pace nelle sue provviste. Come scrive Saint-Exupéry: «Vivono solo coloro che non hanno trovato pace nelle provviste fatte» (Cittadella).