OMELIA XXV domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Lc 16, 1-13
La ricchezza, per Gesù, non è mai neutra: porta con sé il peso di un’ombra. È frutto di accumulo e, alla fine, di esclusione. L’opulenza non nasce dal nulla: chiede il sacrificio di qualcuno che resta ai margini, invisibile. In fondo vivere significa essere già dentro questa trama, in cui nessuno può chiamarsi fuori. «Siamo tutti responsabili di tutto», scrive Dostoevskij, e l’economia non è che il nome di questo legame che ci attraversa, anche quando crediamo di esserne estranei.
L’amministratore infedele della parabola evangelica porta con sé una domanda che è anche la nostra: “Io, che cosa posso fare?”. Gesù non invita a fuggire dal mondo né a rinunciare alle cose, ma a viverle con lucidità, con creatività, con quella scaltrezza che nasce dalla libertà interiore.
Forse tutto inizia con un gesto semplice: condividere. Non il dare dall’alto verso il basso, ma il mettere in comune, perché la vita non resti chiusa nel recinto di ciascuno. Le prime comunità cristiane lo sperimentarono: non era il rito a generare pienezza, ma la mensa condivisa, dove nessuno restava nel bisogno e il poco diventava sufficiente per tutti. Il pane moltiplicato non era magia, ma il miracolo della comunione.
È facile pensare che sia utopia, un sogno irrealizzabile. Ma qualcuno, a partire da Gesù di Nazareth, ci ha creduto, e la sua vita testimonia che questa via non è illusione: è l’unico cammino capace di aprire una storia più forte della morte. Una storia dal sapore dell’amore, l’unico nutrimento che non finisce e che continua a generare vita.