Natale

«Non è attraverso il divino che noi sperimentiamo l’umano; piuttosto il contrario, è dall’interno dell’umanità che sperimentiamo il divino. È la piena umanità di Gesù che rivela ciò che Dio è, è nella pienezza dell’umanità di Gesù che possiamo sperimentare che cosa significhi vivere oltre le barriere del nostro passato evolutivo e innalzarci a un’umanità che è riempita dallo spirito, aperta alla sorgente della vita e dell’amore, al “fondamento dell’essere”». Queste parole di John Spong, mi aiutano ad intuire qualcosa del mistero del Natale.

Esiste un momento in cui siamo rimandati all’essenza del nostro essere cristiani e, in ultima analisi, del nostro essere persone: portare a compimento la propria umanità.

Credo dunque che il Natale sia fare memoria del nostro compito esistenziale più alto, che definisce il senso del vivere: incarnare il bene divenendo più umani.

Sì, incarnare il bene, o se vogliamo dare carne a Dio, dato che Dio è il bene sommo, l’Amore.

Siamo tutti ‘incinti’ di Dio: dobbiamo partorirlo nel mondo.

Ogni gesto di bene, ogni frammento di luce gettato nella tenebra, ogni segno di cura che dona dignità all’essere umano, ogni parola che edifica, ogni abbraccio che scalda e rimette in piedi, contribuirà ad incarnare Dio nel mondo, dissipando la caligine di buio che avvolge tutta la terra.

«Dov’è carità e amore, lì c’è Dio» recita un’antica antifona liturgica.

Fare memoria del nostro essere ‘madri’, del nostro doverci partorire dando luce alla luce è il Natale. E come in tutte le nascite, non è esente il senso drammatico della gestazione. Paolo ci ricorda che la creazione stessa – di cui noi siamo parte – sta vivendo le doglie del parto (cfr. Rm 8, 22) per dare alla luce l’Amore, e così giungere essa stessa alla pienezza.

Amare, portarsi alla luce, partorire vita è dramma e compimento, e via di trasformazione.

La fatica, il dolore, il pianto accompagneranno sempre questa nostra ri-nascita, questa nostra fatica ascensionale.

Nel vangelo non vi è scritto ‘felici coloro che amano’, ma ‘beati quelli che piangono’ (Mt 5, 4). A ricordarci che l’amore avrà sempre il sapore delle lacrime, perché è morte del proprio piccolo io, della propria vana-gloria.

Nelle icone antiche, l’immagine della natività rappresentava il Gesù bambino – avvolto in fasce funerarie – deposto in un luogo oscuro, una grotta tenebrosa. «Gesù nasce uomo a Betlemme e muore Dio in croce» (d. Michele Do). Gesù, e ciascun uomo, nasce seme e solo perché deposto nel terreno della storia dove conosce il lungo lavorio dell’amore, il proprio venerdì santo,sboccerà in tutta la sua bellezza. Non si può separare il Natale dalla croce, perché la croce è solo la modalità dell’amore, quello che va fino alla fine, lo stile di vita – quello di Dio stesso – in grado di compiere l’umano.

Buona nascita a tutti dunque.

Buon Natale di risurrezione!