OMELIA 11a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Diceva [Gesù] “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”. (Mc 4, 26-34)

30Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa».

 

 

“Bonum est diffusivum sui”, il bene si diffonde da sé, dice Tommaso d’Aquino.

È quanto viene affermato con forza da Gesù nelle due parabole del Vangelo di oggi.

Il contadino, dopo la semina, non torna nel suo campo, rovinerebbe tutto.

Il campo fa il suo lavoro, porta a compimento la vittoria insita nel seme stesso.

 

Diamo solitamente poco credito al bene. Non crediamo in fondo che sia l’unica soluzione dinanzi al male e alla violenza, e che sia l’unica realtà in grado di vincere sulla violenza e la cattiveria.

Gesù di Nazaret ha solo fatto il bene (cfr. At 10, 38), e come seme impiantato nel terreno della storia, ha portato vita per tutti e per sempre. Ha vinto il male e ha distrutto la morte.

Non gli hanno creduto, preferendogli violenza e morte.

È questione di crescere nella fiducia che la vittoria, il compimento, il frutto non spetta a noi, ma alla potenza insita nell’atto di bene che possiamo compiere, in quanto questo possiede un potere divino, perché il bene è solo manifestazione di Dio.

 

L’unica cosa che viene chiesta all’uomo è di porre l’atto di bene, e poi attendere. Il risultato è certo.

Credere che il frutto ci sarà, e quindi fermarsi, non agire più perché “l’erba tirata non cresce, si strappa”, dice un proverbio.

Il bene – dentro e fuori di noi – ha bisogno di tempi molto lunghi per affermarsi. Un albero impiega anni e anni per diventare grande. Solo il male ha tempi rapidissimi per affermarsi. Se una cosa è vera, cresce da sé. Solo la menzogna ha necessità di essere proclamata a squarciagola.

Il contadino sa che il lavoro fatto in autunno porterà frutto solo dopo un inverno magari molto rigido e buio, e nel frattempo sa anche di non dovere far niente, perché a volte, il non fare è l’opera più grande e difficile che viene chiesta, tornare nel campo – s’è detto – rovinerebbe il raccolto.

 

Abbiamo bisogno di tornare a vivere d’ozio, tornare a “scuola”; infatti la parola scuola deriva da scholé, che significa quiete, tempo libero, ozio.

Oggi invece viviamo in un continuo negotium – occupazione e travaglio – che è la precisa negazione dell’otium (nec-otium). Non diamo tempo al bene di affermarsi, bruciamo le tappe, pretendiamo tutto e subito, eterni adolescenti indomiti.

 

Chi non nutre fiducia nel fatto che il seme porti in sé la possibilità del compimento, si darà sempre da fare per indottrinare, aggiungere parole a parole, usare violenza perché il bene possa essere affermato!

Il bene invece ha un altro modo di essere fecondo: laddove a noi pare vi sia la morte, la sconfitta, il silenzio, il bene comincia ad agire apportandovi vita, vittoria, presenza. È l’unico suo modo di azione: «Dorma… di notte…» (v. 27), è il richiamo alla morte di Gesù. È lui il seme che è stato gettato nel campo del mondo. Solo perché Dio s’è addormentato nel sepolcro ha potuto apportarvi vita e farvi uscire i morti.

Se cerchiamo il regno di Dio attraverso il potere, l’organizzazione, il successo, la strategia del mondo insomma, non contribuiremo a far altro che aumentare la presenza del male nel mondo stesso. Il male – come il bene d’altronde – si moltiplica compiendolo.

Pietro, Giuda, i romani, il mondo hanno rifiutato Gesù, il bene fatto carne; non possono accettare un Dio debole, piccolo, fragile: «pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pt, 2, 4). Quando fu annunziata ai pastori la nascita del Cristo, il segno quale fu? «Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia» (Mt 2, 12).

 

Questo è Dio, il bene incarnato.

Questa l’unica via per la salvezza, il bene vissuto.