OMELIA 15a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. 8E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; 9ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 10E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. 11Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 12Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, 13scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano». (Mc 6, 7-13)

 

«Chiamò a sé… e prese a mandarli» (v. 7).

Ciò che fa vivere è sempre ‘binario’, come il respiro. Accumulare solamente aria nei polmoni non dà più vita, fa morire. Occorre donare ciò che si è ricevuto.

Gesù chiama a sé i suoi – perché l’amore è attrazione -, li trasforma amandoli, e amandoli li invia. Li trasforma in soggetti capaci di amore e ‘prese a mandarli’, perché solo se si è stati raggiunti dall’amore ci si può fare principio di amore.

 

Accogliendo il Dio che mi viene a cercare – questa è la fede -, vengo a mia volta abilitato a dispensare vita e più precisamente, dice il Vangelo, ad ‘avere potere sugli spiriti impuri’ (v. 7b), ovvero ‘sul potere del male’, non solo quello intorno a me, ma a partire da quello presente in me: la mia cattiveria, il mio egoismo, la violenza prevaricatrice, l’invidia, la gelosia..

‘Dava loro potere…’. Questo è il vero ‘potere’ che abbiamo, lo stesso di Dio: amare, vincere il male col bene, perché l’unico modo di sconfiggere il male è non farlo, decidendosi per il bene.

Gesù nel Vangelo di oggi ci suggerisce quali caratteristiche deve possedere chi esercita il “potere del bene”. Perché l’amore in grado di vincere il male deve avere uno stile, quello di Gesù.

Anzitutto per vivere il principio del bene, occorre essere almeno in due. Per questo li invia nel mondo ‘a due a due’ (v. 7). Perché il due è principio di comunione. L’amore che ama solo il proprio io, è quello vissuto da Narciso, un amore suicida.

 

Occorre poi ‘non possedere nulla’, per vivere la logica dell’amore.

La comunione con l’altro si potrà compiere solo nella verità di sé e non attraverso le cose che si possiedono, perché finché hai cose darai cose, ma se non hai nulla giungerai a dare te stesso. Il grande rischio nel fare il bene, è donare sempre qualcosa fuori di sé, qualcosa che non tocca mai la sfera dell’essere. Solo quando finisci di dispensare i tuoi beni, comincerai a donare il tuo essere. Dio ha dato la sua vita, non le sue cose. O se vogliamo, ci ha dato tutte le sue cose, ma ci ha salvato solo donandoci se stesso. Se dai oggetti, beni, prestazioni, comunque qualcosa di estrinseco da te, finirai prima o poi di esercitare un ambiguo potere sull’altro, perché l’altro ti amerà, legandosi a te per le cose che gli hai dato, e non per ciò che sei. Ma l’amore non crea dipendenza, lascia liberi, anche di essere traditi e abbandonati.

 

È necessario non avere neppure del pane con sé quando si ama (v. 8b). Il pane è simbolo della vita. La mia vita vera non dipende dal pane che possiedo, ma dalla mia capacità di condividerlo con gli altri. Solo quando lascerò mangiare la mia vita come il pane, avrò con me il pane necessario ad assicurarmi vita. È l’amore vicendevole che fa vivere; se penso invece che sia l’accumulo del ‘pane’, dei beni, degli oggetti, degli affetti a farmi vivere, presto o tardi mi dimenticherò dove sta la vera sorgente della vita.

Per questo non occorre avere neanche una sacca, e tanto meno del denaro da metterci dentro. Avere una sacca vuol dire avere un luogo su cui confidare e dove poter andare ad attingere quando tutto viene meno, vuol dire avere le spalle coperte, una via di fuga nei momenti più difficili. È la sorella malata della fede; richiama al possesso, al ‘confidare’ nell’accumulo. Ma la vita non dipende dai beni accumulati; non sono questi a definire la nostra vita; «Anche se uno è nell’abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12, 15).

Solo in questa povertà, in questo ‘vuoto’ interiore, in questo nulla esistenziale i discepoli potranno scacciare demoni e guarire gli ammalati (cfr. v 13). Perché finalmente potrà emergere in loro l’unica Presenza, l’unico Bene in grado di guarire e di compiere.

In At 3, 1-10 Pietro e Giovanni operano i miracoli proprio in quanto non hanno nulla (né oro né argento). Ma proprio per questo possono contare solo sul nome di Gesù: «Pietro disse al paralitico: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”» (At 3, 6). Il non poter confidare su altro, fa emergere da sé l’unico tesoro che è in grado di compiere la vittoria sul male. Solo questo nome, e non oro e argento è in grado di far alzare l’uomo che si trova a terra, impantanato nel fango di un’esistenza ferita. Il vuoto, non avere più appigli, sicurezze e facili vie di fuga è la condizione per far emergere da sé l’Essenziale, il bene.

 

Due oggetti però sono ammessi, nella via del bene: il bastone e i sandali. Il bastone richiama quel legno che aveva già aperto il Mar Rosso (cfr. Es 14, 16) e spaccato la roccia da cui scaturì l’acqua di vita nel deserto (Cfr. Es 17, 5s.). Legno che diviene simbolo della croce, somma debolezza umana, povertà assoluta, in grado di squarciare il cielo, aprendo all’uomo l’accesso al costato di Cristo, sorgente di acqua e sangue, ossia dono di vita per ciascun uomo. Questo è l’unico potere di Dio e nostro, un potere crocifisso: quello di donarci ai fratelli, in grado di farci oltrepassare il cielo per entrare nel cuore stesso di Dio.

 

E poi è lecito avere con sé dei sandali. Nell’antichità il sandalo è la calzatura degli uomini liberi, mentre gli schiavi andavano a piedi nudi. Se si vive la logica del bene, se ci si fa dispensatori dell’essere e non dei beni, se cominceremo a guarire le ferite degli uomini risollevandoli dalla loro indegnità, allora conosceremo veramente cosa vuol dire essere liberi, altrimenti resteremo schiavi del nostro egoismo, anche se indosseremo calzature splendide, se avremo borse zeppe di denari e dispense traboccanti di pane.