OMELIA 19a Domenica Tempo Ordinario anno A

«Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!»

 

La barca, la notte, la fatica, la paura… Questa è la nostra vita. Siamo tutti intenti a solcare il mare della storia, segnata dal male; e non di rado la notte ci avvolge, la fatica si fa sentire e la paura ci ammorba il cuore.

L’intento è quello di raggiungere “l’altra riva’, la sponda della felicità, del compimento del cuore, ossia una vita in pienezza. Insomma, desideriamo si compia anche per noi la Pasqua: il passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù dell’egoismo alla  possibilità di vivere nell’amore.

 

Nel testo si dice che Gesù ‘costrinse’ i discepoli a salire sulla barca (v. 22). Chiaro segno che questi non erano poi tanto d’accordo! Sarebbero stati volentieri lì a godersi il successo della moltiplicazione dei pani appena avvenuta (Vangelo di domenica scorsa). Esaltata, avrebbero con piacere acclamato Gesù come loro re, anche perché loro stessi sarebbero divenuti presto suoi primi ministri, i più grandi di quel regno appena instaurato.

Ma – ancora una volta – i discepoli (ciascuno di noi) non comprendono nulla. Gesù non è un re che dà pane (= vita) a buon mercato. Sarà egli a darsi come pane sulla croce, attraverso l’amore più grande. Per questo motivo congeda a forza i discepoli, per non trattenerli in quella logica malata, fatta di potere e di successo, di miracolismi sterili, costringendoli a cambiare mentalità, a compiere quella Pasqua che libera dall’egoismo per una vita in pienezza.

 

Poi Gesù sale sul monte (v. 23), simbolo della comunione col Padre. Questa è la dimensione in cui vive da sempre la Chiesa. Gesù una cosa sola col Padre,  e noi nel periglioso mare del quotidiano esistere, in quella barca (simbolo della Chiesa) che nulla potrà mai infrangere (cfr. Mt 16, 18). Ma non per questo saremo preservati dalla notte, dalla paura, dalle fatiche: «il vento infatti era contrario» (v. 24). La lotta, il male, l’oscurità non cesseranno, continueremo a farne triste esperienza. E, a volte, tutto apparirà incomprensibile: noi in mezzo alla notte con la paura di affogare, e lui là, «sul monte, in disparte… solo» (v. 23).

 

Perché tu, l’eterna Presenza, ora appari come l’assurda Assenza? Perché ci lasci in balia del male e non sei qui con noi?

 

Sul finire della notte… (v. 25). Letteralmente è la quarta veglia notturna, quando cioè tutto pare essere perduto, finito. E ci si sente sfiniti.

L’Amore raggiunge l’Amato sempre quando questo sta morendo… Quando tutto pare perduto, Dio – ultima Parola – recupera tutto rendendo tutto parola penultima.

L’Amore ci raggiunge camminando sul mare (v. 25), ovvero come vincitore sul male, come colui che ha posto definitivamente la morte sotto i suoi piedi; come a dirci: «Non aver paura della negatività che vivi in questo momento. Non temere se pare che la morte, il male, la violenza, la notte prendano il sopravvento: io ho vinto la morte. Io sono la risurrezione e la vita (cfr. Gv 11, 25).

Gesù ora può vincere la mia morte e il mio male, proprio perché prima è stato ‘sul monte’, sul Golgota, solo, a morire per amor mio (v. 23b). Attraverso il suo morire crocifisso, è entrato nella comunione col Padre, e proprio per questo ora può incamminarsi verso di noi (v. 25).

 

Ma i suoi lo credono un fantasma (v. 26). Non è possibile che vi sia qualcuno che è in grado di aver vinto la morte! E per questo continuano a vivere nell’angoscia: «e gridarono dalla paura».

Chi è Dio per me? Lo ritengo in grado di vincere le mie notti? Le mie morti? O è il mio Dio solo quando mi serve,  quando mi prostro al suo altare, lo incenso, lo prego, lo piego ai miei più biechi interessi, ma in fondo per me rimane un fantasma, incapace di vincere la morte e la notte? Credo veramente che è il Signore che dà la vita?

 

«Subito Gesù parlò» (v. 27a). Subito… Bellissimo! Quasi a non permetterci di farci troppo male nel non credere all’amore. Subito parlò, perché le mie parole, i miei pensieri falsati su lui non corrodano troppo il cuore, perché non mi perda nello scoraggiamento affogando nella paura.

Coraggio. Io-sono, dice Gesù (v. 27). Io sono è il nome stesso di Dio. Io Sono la realtà di Dio, non temere. Non abbiate paura! Quando tutto crolla, che si possa udire dentro di noi un ultimo grido: «Io sono».

 

«La sola cosa che mi rimanga nella mia notte è l’immensa pietà che Dio ha per me. Che non si spenga ai miei occhi questa mia ultima stella.

Dio esiste, e tanto basta». (San Francesco)

 

Credere all’Amore, affidarsi all’Amore, fidarsi dell’Amore, questa è salvezza.

Pietro prova a crederci. Per un attimo vive un miracolo, ma questo non basta. Non è sufficiente un miracolo a convincerci della verità dell’amore.

L’unica cosa che lo teneva in piedi, ciò che gli permetteva di essere più forte della morte, era lo sguardo fisso su Gesù: «andò verso Gesù» (v. 29b). E basta.

Distolto lo sguardo da Lui, e fissatolo sul mare, sulla tempesta, ascoltando il vento contrario: «ma, vedendo che il vento era forte» (v. 30a), comincia ad affondare (v. 30).

Momento di straordinaria grazia.

Non sarà mai un miracolo a farci stare in piedi, ma il fissare il nostro sguardo sul Cristo e questi crocifisso, sull’amore di Dio per noi. E ogni qualvolta sperimenteremo la nostra incapacità, il nostro precipitare nel male e nella morte (scendere nell’acqua), ogni volta che c’immergeremo nel nostro inferno interiore quello sarà il vero miracolo, il nostro autentico battesimo (immersione nell’acqua). Perché comprenderemo che a salvarci sarà soltanto un grido, nato dalla nostra profonda debolezza, dal nostro essere irrimediabilmente friabili: Signore salvami!

Sarà sempre questo grido a salvarci: «Signore salvami»!

Tutto qui! Come il grido strozzato del buon ladrone sulla croce, per ascoltare il quale, e per esaudire il quale,  Dio stesso è salito sul medesimo patibolo. Per rispondere: «Ora sei qui con me nel Paradiso» a colui che gli gridò: «Ricordati di me».

 

E alla fine sperimenteremo la mano di Dio che ci afferrerà, ci farà emergere subito (v. 31) – dalla morte, sperimentando finalmente quella pace tanto agognata e ricercata in chissà quale altra terra straniera, potendoci finalmente prostrare, stanchi ma felici, dinanzi a Lui dicendogli: «Davvero tu sei il Figlio di Dio» (v. 33b).