OMELIA 1a Domenica Avvento. Anno B

«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». (Mc 13, 33-37)

 

 

«Fate attenzione, vegliate, che non vi trovi addormentati». Questo è l’invito pressante di Gesù.

Chi vive da addormentato in questa vita, lo sarà per sempre. Anche dopo la morte.

Vivere da ‘svegli’ permette di non morire, perché si è consapevoli del proprio compito esistenziale, ossia di doversi compiere, portare alla luce, rinascere alla pienezza di sé. Vivere da ‘svegli’ è consapevolezza insomma che la vita che stiamo vivendo ci è stata donata per portarci a compimento.

Nel Vangelo la parola verità traduce il termine greco aletheia. Letteralmente significa: ‘fuori dalla letargia’, (lèthê: oblio), fuori dall’oblio, dal sonno invincibile. Per cui vive una vita ‘vera’ chi vive consapevolmente, responsabilmente, da risvegliato appunto, in uno stato di continua attenzione.

Quando Gesù dice “Io sono la verità” (Gv 14, 6),  non dice ‘io-ho-la-verità’. La verità non la si può mai possedere. Sarebbe solo motivo di violenza. Si può diventare però persone vere, in quanto l’essenziale è la verità dell’essere. È come se Gesù avesse detto: ‘Io sono il risvegliato’, l’uomo consapevole di dove risiede il ‘compimento del cuore, il segreto della felicità e agisce di conseguenza.

Essere e vivere da persone consapevoli significa anzitutto accoglienza, ossia capacità di attenzione senza attesa, senza oggetto, perché vuota e pura recettività. Attenzione come accoglienza è la caratteristica prima della femminilità. La ‘verginità di Maria’, lungi dal ridursi a mera e banale questione sessuale, è proprio questa ‘attesa senza oggetto’, pura apertura e accoglienza dell’imprevedibilità.

 

«È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi» (v. 34). Abbiamo un potere dentro di noi che chiede di essere scovato e poi elargito. Nel Vangelo, per ‘potere’ s’intende la stessa vita di Dio, e dunque il potere dell’amore, l’unico in possesso di Dio. A questo dobbiamo prestare attenzione: siamo possibilità amanti, che compiranno se stesse solo nella modalità dell’amore.

La vita fallita sarà quella che ha disatteso la propria vocazione: vivere una vita addormentata (v. 36). Quando tornerà il padrone di casa (v. 35), fuori di metafora, quando ci toccherà la morte biologica, l’unica possibilità di fallimento sarà farci trovare addormentati, non in costruzione di noi stessi; distratti, ovvero tirati qua e là da ogni luce che promette di compierci. Vocazione disattesa.

L’illuminazione non sta nel ricevere luci dall’esterno, ma dilatare quella interiore che ci è stata posta dentro da sempre. È prendere consapevolezza che Cristo, la Luce abita già nei nostri cuori: «Esaminate voi stessi, se siete nella fede; mettetevi alla prova. Non riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi?» (2Cor 13, 5).

Ma non basta, per quanto essenziale, compiere questo lungo cammino di consapevolezza della propria verità. Occorrerà agire poi di conseguenza. La nostra potenzialità va compiuta; il tesoro una volta scoperto (cfr. Mt 13, 44) ci arricchisce, e vivremo nel mondo attraverso l’elargizione di questa ricchezza di cui finalmente siamo divenuti consapevoli.

Vegliare vuol dire tenere gli occhi aperti. Le civette, con i loro grandi occhi, vedono chiaramente anche nella notte. È questa la vigilanza cui ci richiama il Vangelo: vedere nella notte ciò che altri non vedono. Scorgere una Presenza anche laddove tutto pare avvolto dal buio, un significato dove tutto pare non senso, un amore anche dove tutto pare inimicizia e odio.

Anzi, il Vangelo ci richiama a qualcosa ancora oltre: al dovere di scorgere la Presenza nei presenti accanto a noi. Perché ora il nostro Dio è presente nell’altro che mi sta accanto. Ci vogliono occhi speciali per poter scorgere tutto questo: «quello che avete fatto ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).