OMELIA 26a Domenica Tempo Ordinario anno A

«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”. Risposero: “Il primo”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”».

 

«Un uomo aveva due figli» (v. 1). Ad entrambi quest’uomo chiede di andare a lavorare nella sua vigna. Il primo risponde no, non ne ho voglia, ma poi pentitosi ci va; il secondo subito gli dice sì, per poi non andarci.

È curioso notare che questo uomo non ha un terzo figlio, che fa immediatamente ciò che il Padre dice…

 

Scontato che questo uomo della parabola è Dio, chi sono i due figli? Essi sono ciascuno di noi. Sono io che mi porto dentro queste due realtà, questi due atteggiamenti che continuamente si intersecano, dove a volte prevale uno e a volte l’altro. In me non esiste l’uomo ideale – il terzo figlio – perché Dio non ha figli ideali. Egli ha solo figli amati, e amati per quello che sono.

 

Non è difficile riscontrare in me, il figlio che vive d’apparenza. Mi dico cristiano e credo d’esserlo realmente; per il fatto di ritenermi credente mi convinco anche di essere di Gesù e magari ‘salvato’. Per il fatto di appartenere alla ‘squadra’ di Cristo, di andare magari anche in chiesa, recitar preghiere, sgranare rosari penso anche di potermi dire discepolo, essere dei suoi, e di fare la sua volontà. Ebbene, questo è l’atteggiamento di quel figlio della parabola che dice sempre sì, ma non fa la volontà del padre (v. 31).

Gesù già in un passo precedente aveva stigmatizzato questo atteggiamento: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21). Questo figlio è l’uomo religioso di sempre, che si riempie la bocca di Dio e crede che ciò che pensa sia anche la realtà che vive. Figura questa che si ritrova splendidamente dipinta nel figlio maggiore, quello che sta a casa, nella parabola del cosiddetto figliol prodigo.

 

Poi c’è l’altro figlio, l’altra parte di me.

Quello che dice di no, quello che spesso fa fatica a vivere con suo padre, che si allontana dalla sua casa. Quello che affamato cerca altre mense, che assetato cerca pozzanghere alle quali abbeverarsi. Quello che fa esperienza della propria debolezza, che vorrebbe ma non ce la fa, quello che si ferisce attraverso il proprio peccato. Quello che si trova sempre al punto di partenza.

Eppure il Vangelo di oggi dice che proprio questo figlio, questa povera creatura, infangata sino al collo, ha compiuto la volontà del Padre. Ma come è possibile?

 

Forse occorre domandarsi a questo punto in cosa consiste il “fare la volontà del Padre”. Stando al Vangelo evinciamo che essa consiste nell’accettare, accogliere, fare esperienza dell’amore gratuito di Dio per me suo figlio.

Compiere la volontà di Dio non è anzitutto un fare qualcosa per lui, obbedienza a una sua norma, o moltiplicare atti religiosi, ma piuttosto permettere che lui compia in me la sua opera, ossia si manifesti a me per ciò che è!

«Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6, 40).

La volontà di Dio è credere nel Figlio, ovvero sperimentare la vita in pienezza (vita eterna) che è venuto a donarmi; è fare esperienza dell’amore del Padre, della sua misericordia, in una parola sentirmi figlio amato.

 

Il secondo figlio non è riuscito a sperimentare questo amore gratuito del Padre. È vero, prima dice sì, cioè lui le cose per il suo Dio le fa, e anche benino; crede anche che nel compiere tutto ciò risieda la volontà del Padre. Ma non è così! Troppo intento a lavorare per Dio non s’è reso conto del lavoro di Dio per lui.

 

Invece è l’altro figlio che compie la volontà del Padre, il figlio ‘sbagliato’, ingiusto e malato, perché ha potuto sperimentare in cosa consiste la volontà del Padre attraverso la parte sporca di sé, del suo peccato. Ha sperimentato che Dio è amore che perdona, risana, recupera. Questi fa la volontà del Padre perché si è sentito profondamente amato. Il cristianesimo sta tutto qui, fare esperienza dell’essenza stessa di Dio: cuore che si prende cura dei figli.

 

«Pubblicani e prostitute vi passeranno avanti nel regno di Dio» (v. 31). Questa affermazione di Gesù suona come un pugno nello stomaco. Perché Gesù pare lasciarsi andare in un’esaltazione dei pubblicani e delle prostitute? Non certo perché sono migliori degli altri, ma semplicemente perché non possono credere di essere giusti e sani. Non possono fingere, non fosse altro perché tutti ricorderebbero loro ciò che sono in realtà!

Il vangelo di oggi ci ricorda che vero cieco è chi crede di vedere, vero peccatore chi si crede giusto.

 

Tra i tanti figli che fanno la volontà del Padre nel Vangelo, uno risplende in modo particolare: si tratta del maledetto sulla croce a fianco di Gesù sul Calvario. Se ora si trova su quel patibolo infame c’è da credere che abbia passato la vita a dir di no al suo Dio, attraverso una vita non certamente esemplare, ma ora viene presentato come colui che fa la volontà del Padre, in quanto apertosi alla grazia di quell’Amore che per donargli il paradiso è salito fin lassù al suo fianco.

 

«Avrò anche detto di no a te mio Signore per tutta la vita, per la mia fragilità, il mio egoismo, il mio peccato, ma so anche Signore che tu sei l’amore che desidera solo che io mi apra a te per riceverti. Per questo adesso ricordati di me».

«Oggi tu hai fatto la volontà del Padre mio, che vuole solo che tu sia con me, ora, in paradiso».

 

Olivier Clément, grande teologo ortodosso ebbe a dire: «Mi sono convinto, con Dostoevskij, che il «protagonista» del cristianesimo non è l’uomo morale e virtuoso, ma il pubblicano, il ladrone e la prostituta che volgono il cuore al Signore, poiché il santo altri non è che il peccatore che si apre al suo Amore».