OMELIA 2a domenica dopo Natale

Gv 1, 1-18
‘En archè en o lógos’. Così suona in greco – lingua originale – la prima frase del vangelo di oggi, il maestoso prologo di Giovanni.
La radice di lógos è da ricercarsi nel verbo greco légo, infinito di léghein che significa ‘mettere insieme’, raccogliere. E anche parlare, dato che parlando si mettono insieme parole. Per questo lógos si può anche tradurre con ‘parola’.
Lógos è da intendersi perciò come principio relazionale unificante, forza, energia che lega, tiene insieme i singoli minuscoli costituenti della materia (oggi potremmo parlare di onde e particelle) facendo emergere sistemi – risultato di aggregazioni – man mano sempre più complessi e organizzati. La vita insomma nella sua complessità.
Ecco, il lógos è la forza aggregante perché la vita possa avanzare verso il suo compimento.
Giovanni ci sta dicendo quindi che in tutto ciò che esiste, abita un principio unificante, un ‘principio di bene’ che tiene unito e che fa emergere la vita verso la sua fioritura.
‘E il lógos era Dio’ continua il prologo. Questa energia è divina, principio di bene, ‘intelligente’ in quanto vincitrice sul caos, Amore che edifica: ‘tutto è stato fatto per mezzo di lui’, e abita l’infinitamente piccolo come l’infinitamente grande. Sta dunque al centro della creazione, al centro di ogni cosa, al centro di noi stessi come forza che vince sulle potenze disgreganti che ci abitano, e al contempo lavora costantemente alla versione migliore di noi stessi.
E l’uomo Gesù, in un determinato momento della storia, attraverso il suo stile di vita, la sua parola, il suo agire ha ‘incarnato’ questo lógos, gli ha dato carne, l’ha reso visibile, toccabile. Quel principio che da sempre è energia, pura potenzialità si è reso visibile – rivelato – nelle parole e nei gesti del nazareno, assumendo un volto, un sorriso, facendosi lacrime e carezze. Gesù uomo di Nazareth invita oggi ciascuno di noi, a prendere contatto con questo lógos che abita la creazione e quindi noi creature, lasciarlo agire, collaborarci, perché da una parte ne possiamo divenire sempre più manifestazione, incarnazione e dall’altra niente meno che figli di Dio (v. 12).