OMELIA 2a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?». 39Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – 42e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (Gv 1, 35-42)

 

«Dove dimori?» (v. 38); Dove stai di casa?, chiedono i discepoli del Battista a Gesù che passava (v. 36).

Domanda pesante, essenziale. La casa per l’uomo è il luogo del cuore, laddove si vivono le relazioni, gli affetti. Luogo dove si rinasce, perché attraverso la fatica del perdono, si può tornare ad essere sé stessi. L’uomo, in tutto ciò che fa, è in cerca di questo luogo, ne sia consapevole o meno, perché solo qui gli è possibile far fiorire e riposare il cuore.

Abbiamo tutti desiderio di una casa.

Desiderio è l’altro nome della nostalgia. Abbiamo nostalgia della casa, smarrita chissà quando; probabilmente da quando Adamo vi uscì per andarsi a nascondere in un sepolcro. Da allora Dio rivolge a ogni suo figlio la medesima domanda che pose al ‘primo’ uomo: “dove sei?”, “dove stai di casa tu?”.

Sì, perché rischiamo di vivere una vita da slogati’, fuori cioè dall’unico luogo che ci compete, il nostro, quello per cui siamo fatti, perché corrispondente al cuore, come un osso che non è più nella sua sede naturale. E questo fa male.

Ogni nostro luogo, nel quale ci rifugiamo, che non sia l’amore, è un sepolcro, un luogo di dolore e di morte. Fosse anche una tana, confusa – drammaticamente – con la casa.

Rischiamo di investire una vita intera, in sforzi, energie, denari, affetti nel costruirci semplicemente una tana, un luogo protetto, sicuro, dove stare bene, crogiolandosi nell’autocompiacimento di ciò che si è ‘costruito’ a fronte di tanti sacrifici. In una difesa strenue della propria sicurezza, tenendo fuori gli indesiderati, e accaparrandosi un futuro attingendo alla propria dispensa sempre ben fornita.  La stessa vita religiosa, rischia di risolversi tutta nella costruzione della propria tana, dove soddisfare i propri bisogni, vivendo al sicuro e al riparo da un mondo minaccioso. Al di là di tante prediche, occorrerebbe leggere il breve racconto di quel genio ceco che fu Franz Kafka, dal titolo “La tana”.

 

Gesù nel Vangelo di oggi, indica che l’unico vero modo per “trovare casa” è seguirlo; ascoltando la Parola e vivendo come  ha vissuto Lui, ci si troverà dove è di casa Lui da sempre: il cuore stesso del Padre: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12, 26);

«Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv 17, 24). «Il Figlio dimora nell’amore del Padre. E dove sta l’amore del Padre e della Madre? Sta verso tutti i suoi figli. E dove stanno alla fine i figli, presto o tardi? Stanno in Croce. E allora ecco dove dimora Dio. Sulla Croce» (Silvano Fausti). Per essere l’amore di tutti i crocifissi.

 

 

Al cuore malato di nostalgia, Gesù si fa presente voltandosi (v. 38). Scena d’incredibile commozione: dinanzi al nostro cuore inquieto, smarrito, slogato, Gesù si volta, ma dalla nostra parte! All’uomo in ricerca, Dio si mette in sua ricerca, facendosi così trovare e donando il suo stesso volto: «Cosa cercate?» (v. 38).

Cosa cerchiamo? Questa è la domanda fondamentale che Dio ci rivolge. «Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27, 8) risponde il salmista. Ossia, quel qualcosa in grado di guarire le ferite provocate in me dall’infelicità di percepire il drammatico dislivello tra ciò che sempre cerco e ciò che mai trovo. Il nostro cuore ha desideri così alti che non trova mai corrispondenza nelle cose che fa e che scopre. Il guaio è che facciamo un’infinità di cose che nulla hanno a che fare con ciò che cerchiamo, perdendo tempo, energia e vita! Semplicemente ci dedichiamo ad altro.

«Venite e vedrete» (v. 39). I discepoli si muovono, sperimentano, gustano. Rimangono, con lui.

«Erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). Ovvero l’ora in cui si smetteva di lavorare nei campi, l’ora del riposo. Fatta esperienza di Cristo, finalmente il nostro cuore inquieto può trovare riposo.

Il cuore rimarginato da quella frantumazione che lo portò a dividersi da sé, dal fratello e da Dio, può finalmente cessare di pensare a sé, uscendo alla ricerca dell’altro. Tornato ‘a casa’, l’uomo incontra suo fratello, quello da cui s’era separato separandosi da Dio, infatti consumata la frattura con Dio, iniziò per l’uomo il rapporto fratricida con l’altro: Caino uccise Abele.

Ma ora tutto è ricomposto; l’uomo scoperto l’amore che è venuto a cercarlo, può andare in cerca del fratello smarrito chissà quando: «Andrea incontrò per primo suo fratello Simone» (v. 41).

E Simone riceve il suo vero nome, quello che lo definisce, che lo fa rinascere: «Tu sarai chiamato Cefa» (v. 42). È sempre l’altro che mi raggiunge nell’amore a dirmi chi sono, a definirmi. Incontrato Cristo, l’Amore, è possibile incontrare l’altro come fratello, e se stessi nella propria verità; è possibile ristabilire quell’amicizia come consapevolezza di essere tutti figli di un Padre che altro sogno non ha che di trovarsi la casa piena di donne e di uomini che si sentono finalmente figli e quindi fratelli fra loro.