OMELIA 34a Domenica Tempo Ordinario anno A

«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”. (Mt 25, 31-46)

 

Ogni anno, nella domenica antecedente alla prima domenica di Avvento, siamo invitati a celebrare la festa di ‘Cristo Re’. Introdotta relativamente in epoca recente (1925), con un significato storico ben preciso, continua ad essere un appuntamento di riflessione importante anche per noi oggi. Penso serva anzitutto come purificazione di un’insana idea di Dio e dell’uomo che ci portiamo dentro.

 

Diventare ed essere re, è un desiderio ancestrale dell’uomo. Da sempre.

Il re è colui che è posto al di sopra, è potente. Lui è egregio in quanto fuori dal gregge.

Col suo potere illimitato può tutto, non dipende da alcuno. Ricco, possiede e dispone non solo di cose e denari, ma anche della vita dei suoi sudditi. Amministra finanze, sovrintende la giustizia. Elargisce premi ai probi, castigando i reprobi.

Per questo ciascun uomo, seppur nel suo piccolissimo “regno”, è naturalmente portato ad atteggiarsi a sovrano. È più forte di lui.

Non può non venire alla mente un passaggio del famosissimo racconto di Saint-Exupéry, Il piccolo principe:

«Ah! ecco un suddito», esclamò il re appena vide il piccolo principe.

E il piccolo principe si domandò: «Come può riconoscermi se non mi ha mai visto?»

Non sapeva che per i re il mondo è molto semplificato. Tutti gli uomini sono dei sudditi.

[…] Il re teneva assolutamente a che la sua autorità fosse rispettata. Non tollerava la disubbidienza. Era un monarca assoluto.

Il pianeta era piccolissimo e allora su che cosa il re poteva regnare?

«Sire», gli disse, «scusatemi se vi interrogo…». «Ti ordino di interrogarmi», si affrettò a rispondere il re. «Sire, su che cosa regnate?» «Su tutto», rispose il re con grande semplicità. «Su tutto?». Il re con un gesto discreto indicò il suo pianeta, gli altri pianeti, e le stelle. «Su tutto questo?» domandò il piccolo principe. «Su tutto questo…» rispose il re. Perché non era solamente un monarca assoluto, ma era un monarca universale».

 

Il Vangelo è la totale frantumazione di questa idea di uomo come re, o meglio di questa idea di re.  L’uomo è sì chiamato a diventare grande e potente, ma nella modalità di Cristo. Il Vangelo infatti definisce Gesù re, ma al contempo ci rivela e insegna la modalità assolutamente nuova di esserlo. Lui è re potente in quanto ha lavato i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, 5), e ha dato il boccone a Giuda (Gv 13, 26), ossia ha amato chi l’ha odiato, arrivando a partecipargli sé stesso.

Egli è dunque grande e potente in quanto ha il potere di servire gli uomini e di perdonare loro nel loro male più grande, donando vita a chi gliela sta togliendo. Ecco l’unica modalità di essere re, dice Dio: dare la vita senza toglierla a nessuno. Servire gli uomini e non servirsene. Mettersi nelle mani degli altri e non tenere nessuno in pugno.

 

Pilato mostrando un Gesù flagellato, insultato e deriso da una folla che reclama la sua morte, dirà: “Ecco l’uomo” (Gv 19, 5), e poco dopo «Ecco il vostro re» (Gv 19, 14). Splendida profezia: Ecco chi è il vero uomo, l’uomo completo, vero, autentico, quest’uomo che ha come unica colpa quella di aver amato sino alla fine, di essersi donato nelle mani degli uomini al fine di poterli abbracciare tutti tra le sue mani.

Gesù rivela in questo modo anche il vero volto di Dio, purificandolo da tutte le idee malsane. Sì, perché l’idea di un Dio sovrano, onnipotente, che amministra in maniera autoritaria la sua giustizia, è un’altra distorsione mentale che continuiamo a portarci dentro.

Per questo il Vangelo di oggi ci propone la parabola del cosiddetto Giudizio universale.

Se non giungeremo a contemplare l’immagine di Gesù rivelatore del vero uomo e del vero Dio, continueremo a leggere questa pagina evangelica con timore e tremore

Dio è onnipotente solo nell’amore.

Va da sé che l’unico giudizio di Dio sull’uomo e sulla storia sarà quello nato sulla croce, ovvero del dono massimo di sé per unire a sé ogni uomo ladrone crocifisso.

Dio non può che giudicarci amandoci. E ci amerà unendo a sé tutti coloro che hanno dilatato la propria umanità sino alle conseguenze ultime dell’amore attraverso l’accoglienza dello Spirito e la cura dei fratelli, divenendo così una cosa sola con l’Amore. E li unirà a se perché l’amore fa tutt’uno con l’amato.

E quella parte di noi che non sarà riuscita a spendersi e giocarsi nell’amore, perché ancora segnata dalla fragilità, dalla povertà esistenziale, allora sarà raggiunta dal suo Spirito, che come fuoco brucerà la parte malata di noi conservando per sempre il bene che abbiamo compiuto. Ebbene, tutto questo è raccontato nella parabola del Vangelo di oggi.

 

Una piccola annotazione. A seguito dei Patti Lateranensi  (1929), il Papa tra i suoi vari titoli onorifici (vescovo della diocesi di Roma, capo del Collegio dei cardinali, primate d’Italia, vicario di Cristo, pastore in terra della Chiesa universale, Sommo Pontefice della Chiesa cattolica), viene considerato ancora oggi sovrano assoluto dello Stato della Città del Vaticano, in quanto nello stato Vaticano vige un regime di monarchia assoluta elettiva di tipo patrimoniale (nel senso che non vi è alcuna distinzione fra il patrimonio del sovrano e quello dello Stato).

Ora, penso che agli occhi della gente comune, una definizione del genere del Papa, possa ingenerare perlomeno qualche perplessità, considerando tra l’altro che al mondo di monarchie assolute ne son rimaste cinque: due sultanati islamici, un emirato arabo, un regno islamico, e la piccola nazione del Regno di Swaziland nell’Africa meridionale.

Sarebbe auspicabile ripresentare al mondo cosa voglia dire sovranità evangelica: possibilità e capacità di farsi servo, come affermato nel Vangelo. Un Vangelo nel quale Gesù proibisce ai suoi persino di chiamare qualcuno maestro e padre (Mt 23, 8s.).

Il grande è colui che serve e il primo è l’ultimo di tutti, il minus, il ‘meno’, da cui la parola ministro.

«Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”» (Mc 10, 42-45).

 

Sarebbe auspicabile che un domani il vicario di Cristo, possedesse solo più il titolo di servus servorum dei, servo dei servi di Dio, tra l’altro già tra i titoli propri del papa da Gregorio I in poi (590), ma non tra quelli ufficiali.

E sarebbe un sogno avesse come insegna nel proprio stemma un semplice asciugamano, quello con cui Gesù si cinse nell’ultima Cena per lavare i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, 5) e, stando al testo, mai più tolto.