OMELIA 3a domenica tempo ordinario anno A

Is 8, 23b-9, 3

1Cor 10, 10-13.17

Mt 4, 12-23

«Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, 14perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

15 Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,

sulla via del mare, oltre il Giordano,

Galilea delle genti!

16 Il popolo che abitava nelle tenebre

vide una grande luce,

per quelli che abitavano in regione e ombra di morte

una luce è sorta.

17Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.

18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.

23Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo».

Gesù fugge. Saputo che la situazione diventa pericolosa per la sua incolumità – il Battista è appena stato arrestato – Gesù decide di cambiare aria, se ne va.

Una domanda: all’amore è dato fuggire? Sì, vi sono situazioni in cui è doveroso fuggire dal male. È vero che l’amore dà pienezza di vita nel momento in cui si mette nelle mani dell’altro e lì conosce la morte (cfr. Gv 12, 24. Il chicco di grano che per portare frutto deve morire), ma vi sono situazioni in cui è doveroso fuggire dalle situazioni di morte, per portare frutto abbondante. Il popolo d’Israele, schiavo in Egitto, è fuggito dalla potenza del faraone, ed è iniziata così l’avventura dell’esodo e della liberazione; all’inizio del Vangelo, della sua attività pubblica, Gesù fugge dalla follia di Erodecominciando un percorso di vita e di liberazione che non avrebbe più conosciuto termine; la Chiesa vedrà la sua massima espansione quando – sotto la tremenda persecuzione romana sino al IV secolo – lascerà Gerusalemme disperdendosi per tutto l’impero. Infatti al v. 14 si dice che col fuggire di Gesù si compie la Scrittura.

Comprendere quando è ora di mettersi nelle mani dei nemici, come il seme nel solco del terreno e lì morire marcendo, o piuttosto fuggire dalle mani dei nemici, è questione di maturità spirituale, ovvero imparare quell’arte della vita dello spirito che si chiama discernimento. Ma dove sono, oggi, quei maestri dello Spirito che ci insegnano quest’arte del cuore?

Gesù nel nostro brano inizia ‘ufficialmente’ la sua attività pubblica, dopo trent’anni circa di vita nascosta. L’amore comincia ad uscire, a vivere di incontri, di misericordia, di abbracci, di guarigioni, di lacrime e di gioia. Matteo ci invita a considerare che quando l’Amore comincia ad amare, le circostanze storiche, l’ambiente sociale, il ‘mondo’ non sono certamente ottimali. Siamo in un periodo di forti persecuzioni, di sofferenza, di oppressione.

Nessuna illusione, non vi è un tempo migliore dell’altro. Nessun tempo è propizio per cominciare ad amare, o se vogliamo ogni tempo, ogni istante è quello giusto. L’hic et nunc, il tremendo quotidiano è l’unico momento favorevole all’amore, con tutte le sue contraddizioni, le pesantezze e le insensatezze. L’ora presente è il terreno migliore dove il seme può cadere e portare frutto abbondante.

E questo perché in ultima analisi, la fecondità del seme non dipende dal terreno, ma dal seme stesso! Perché l’amore porta frutto di per sé, indipendentemente dalle circostanze esterne. Il bene si propaga da sé, diceva Tommaso d’Aquino.

Anzi, dobbiamo credere, che più la situazione è drammatica, più la circostanza è oscura e difficile, più aumentano le possibilità che l’amore si compia. La luce per essere luce, ha necessità di un ostacolo da colpire, altrimenti la luce non esisterebbe; perché vi sia il movimento vi è necessità di un ostacolo; perché la grazia possa manifestarsi c’è bisogno del peccato e quindi del male. La misericordia può manifestarsi solo nella miseria. La presenza del male, è la condizione senza la quale il bene non può esistere e manifestarsi. Dentro e fuori di noi.

Il testo ci dice che Gesù lascia Nàzaret (v. 13) dove ha trascorso trent’anni nel nascondimento, nella quotidianità più semplice. A far cosa? Ad imparare il mestiere più duro che esista: vivere. Ci vuole molto tempo per imparare a vivere, soprattutto a vivere bene, perché il bene ha bisogno di tempi lunghissimi per crescere.

Ci vuole un attimo a compiere il male.

E con la sua predicazione, la sua passione, la sua morte porterà a compimento tutta la sua vita nascosta, le darà compimento. Non solo alla sua vita, ma anche alla mia, per quanto nascosta, e questo perché con l’incarnazione l’ha fatta propria, l’ha assunta. In quei suoi trent’anni Dio dice che la mia povera vita, per quanto feriale, semplice, nascosta è importante, è preziosissima, è semplicemente divina e che certamente giungerà alla piena maturità grazie al suo amore, che sulla croce ha raggiunto anche me.

Gesù lascia Nàzaret a favore di Cafarnao, una città di giudei e pagani, i nemici. Una cittadina posta a lato dell’importantissima via maris, la strada che congiungeva i grandi imperi del nord con quelli del sud, perciò crocevia di popoli, culture, religioni. Dio decide di entrare dentro la storia degli uomini, tutti gli uomini, soprattutto quelli lontani, i malati e gli ingiusti. Entra dentro la non credenza, il dubbio, la lontananza… L’amore raggiunge sempre l’uomo là dove questo sta morendo. “Son venuto a chiamare i peccatori, gli ingiusti, i malati…” è il refrain presente di continuo nei Vangeli. Questa è la bella notizia evangelica.

Occorre stupirsi di questo avvenimento, che continuamente si compie nel nostro vivere: Dio lascia la sua ‘casa’ natale, lascia il suo cielo per entrare dentro il mio territorio interiore, dentro la parte più profonda di me, sede di giudei e pagani, un misto cioè di credenza e non credenza, di malattia, di ingiustizia, per essere il Dio “con me”, il Dio accanto, il Dio che si prende cura, per apportarvi la luce della vita, quella definitiva.

Infatti Matteo recupera una citazione di Isaia, in cui si parla di un popolo che soffre sotto la dominazione assira, ma che finalmente vede la liberazione, e gode della luce: il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce! (v. 16).

Si ricordi che la prima opera di Dio nella creazione del mondo fu proprio la luce: «Sia la luce» (Gn 1, 3).

Gesù comincia la sua attività dentro di me, per compiervi una ri-creazione. Tutto per me ricomincia, non sono più schiavo di logiche maligne, quelle proprie di ogni re di turno, fatte solo di potere, ricchezza, possesso, violenza. La sua luce mi fa vedere la realtà come è veramente, perché è una rivelazione, toglie il velo sulla realtà: la vita non è un gioco di potere, la realtà è ben altra: possibilità di prendersi cura, giocarsi relazioni nell’amore, nel perdono, nel ridonare luce a chi vive solo più nelle tenebre.

Gesù compie in me la ri-creazione dicendomi: Convertiti! (v. 17). Ovvero, cambia direzione alla strada di morte che hai intrapreso e che ti sta portando verso il nulla. Cambia mentalità, logica di esistenza, modo di pensare (questo è il più profondo significato di conversione = cambiamento di mentalità), di vedere la realtà, di giocarti le relazioni, le scelte che fai…

Cambia il sentiero di morte su cui ti sei incamminato. Accorgiti che la vita se la possiedi la perdi, se la doni ti torna moltiplicata

E questo puoi farlo «perché il regno dei cieli è arrivato (v. 17)».Ora è qui accanto a te, anzi: è dentro di te!

E cos’è questo regno di Dio? È semplicemente tutto ciò checorrisponde al tuo cuore, ciò che hai sempre desiderato nel profondo: la pace, la benevolenza, la luce, un senso, la giustizia. Ebbene, ora tutto questo è arrivato, è qui! L’amore si è fatto presenza.

Unica condizione per poterne godere? Attingerne.

Alle nozze di Cana Gesù rende presente il compimento del cuore, la felicità dell’uomo, il suo amore, simboleggiato nel dono folle del vino ad un banchetto di nozze, e l’unica cosa che ordina è: ora prendetene! (Gv 2, 8). Il dono è fatto. La luce è entrata, il vino è presente. Ora sta a te decidere, se parteciparne o no.

Attingi alla vita, cambia direzione al tuo vivere.

Dove stai andando a cercare compimento al tuo cuore? Quale viaggio hai intrapreso per sperimentare la felicità? Cambia direzione (= convertiti), stupisciti semplicemente che la felicità non è da scoprire, raggiungere e conquistare. Essa ti ha già raggiunta, è già dentro di te, occorre solo disseppellirla, è nel più profondo del tuo cuore.

«Se percorrerai terre e mari e scavalcherai colline e monti, troverai tracce del divino, se scendi nel profondo del tuo cuore, vi troverai Dio stesso» (Madeleine Delbrêl).

Questo è credere al Vangelo. Credere – aver fede – significa spalancare le braccia all’amore che vuole raggiungerti per farti un dono immane, e dirgli semplicemente: sì, lo voglio, accetto! E si sperimenterà di essere già ora in paradiso, come lo sperimentò il disgraziato con le braccia aperte sulla croce, che Dio inseguì fin lassù per poterglielo donare.