OMELIA 3a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, 15e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.16Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». 18E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 19Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. 20E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui». (Mc 1, 14-20)

«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Sono le prime parole pronunciate da Gesù e raccolte dal vangelo di Marco.

Gesù comincia la sua attività pubblica, fatta di parole e opere in un momento molto difficile. Il Battista è appena stato arrestato (v. 14), per poi essere ucciso (cfr. Mc 6, 17-29) dal potente Erode. Quello che pareva essere un inizio di cambiamento, una promessa di futuro viene messo a tacere. La vita pare essersi fermata.

Ebbene, Gesù comincia là dove tutto finisce; egli non attende tempi migliori per cominciare ad agire e apportare vita. Egli crede fermamente che ogni momento – anche quello più drammatico – è ‘il’ momento opportuno per cominciare a seminare vita. Anzi il testo ci invita a credere che il fatto che Giovanni sia stato bloccato, messo in prigione e ucciso, è possibilità dell’entrata in scena di un altro: «Dopo di me, viene uno che è più forte di me» (Mc 1, 7). Ciò che ci succede nella vita, per quanto faticoso e difficile, non è la fine, ma possibilità di compimento, ovvero che qualcosa di straordinariamente nuovo possa accadere. Il seme deve nascondersi nella terra – e lì morire – per  portare frutto (cfr. Gv 12, 24).

Il Vangelo di oggi c’informa, inoltre, sul luogo dove Gesù ha cominciato la sua opera di salvezza: la Galilea (v. 14). La Galilea era la regione contaminata dai pagani, dai lontani da Dio, dei cosiddetti gentili (cfr. Mt 4, 15). Per cui Gesù ci suggerisce che non solo ogni tempo è il tempo opportuno, ma anche ogni luogo è luogo di salvezza e compimento.

Il Signore viene in questo mio luogo e in questo mio tempo, perché io abbia la possibilità di incontrarlo, di farne esperienza. Non occorre più salire al tempio per incontrarlo; Dio non è più là ad attendermi, ma è lui (il tempio stesso di Dio) che mi ha raggiunto nel mio luogo e tempo personale, per quanto dis-graziato, senza grazia, possa essere. Con Gesù ogni storia umana, è divenuta luogo teologico per la manifestazione di Dio, ovvero storia sacra.

Non c’è più un momento cattivo, un tempo inopportuno, uno stato di peccato in cui non possiamo incontrare il Dio che si fa presente, perché è proprio la Galilea che ci portiamo dentro, il luogo più ‘opportuno’ del farsi presente di Dio.

 

E in questo mio tempo e luogo esistenziale, Gesù vi porta “il vangelo di Dio”,  la bella e grande notizia, la bellezza e la grandezza della felicità.

Egli mi rivolge una parola che ha un potere deflagrante: «il tempo è compiuto» (v. 15). Letteralmente sarebbe: «Il momento è pieno» (Kairós). Il culmine della storia, il suo senso profondo, è già stato raggiunto. Il rischio dell’uomo di sempre, è quello di vivere o proiettato al passato, in un clima di sterile nostalgia, o proiettato al futuro, vivendo di utopie. Ora è il momento presente, che ha in sé tutta la possibilità del bene, e che è in grado di compiermi pienamente.

 

Cosa bisogna fare dunque? «Convertitevi e credete al Vangelo» dice Gesù (v. 15). Stiamo attenti: non viene prima chiesto di convertirci, di credere nel Vangelo in modo che il Regno di Dio si possa instaurare e introdurci in esso. Questo lo pensiamo noi: crediamo che se facciamo i bravi, se crediamo, se eseguiamo tutto a puntino allora Dio ci dona la sua presenza (il Regno) e la sua benevolenza. Come se il suo amore fosse condizionato dal nostro agire… Il Dio presente, il Regno non viene ‘sotto condizione’, ma esso è già qui, gratis, donatoci per grazia, indipendentemente dalla nostra condotta morale. Ci viene chiesto di ‘credere in questa notizia assurda’ (v. 15b) e di farne esperienza, di attingere a questo pozzo di vita.

In principio c’è il dono, e non il nostro amore: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma Dio ci ha amati per primo» (1Gv 4, 19). Non ci salviamo quindi per le opere buone, come fossero condizione per la salvezza, ma per fede, ovvero per aver accettato questo Regno, questa presenza che ci ha raggiunto immeritatamente, e che se l’accettiamo ci permetterà di fare le opere buone!

Ecco perché vi è necessità di una vera conversione del cuore: «Convertitevi» (v. 15); la conversione del Vangelo significa cambiamento di mentalità (metanoia) che condurrà ad un cambiamento di direzione esistenziale. Per cui «convertitevi» vuol dire proprio: smetti di pensare che per raggiungere Dio tu debba diventare più buono, fare tante cose, moltiplicare i tuoi atti cultuali… no, il banchetto è qui, la vita s’è fatta presenza, si è fatta dono da accogliere e non premio da conquistare. Ora basta attingere a questo cibo che dà sostanza alla vita.

La questione è dunque fare questa scoperta del tesoro presente che chiede solo di essere accettato e accolto. Il brano procede mostrandoci come uomini ‘quotidiani’ che s’affaticano di un lavoro fatto di notte, di sudore, impigliando il cuore in immense reti e in legami che non permettono mai di diventare adulti, fanno esperienza della felicità in un uomo che li chiama ad un altro livello di esistenza: la sequela. Fanno esperienza di un cuore, di un amore cui possono attingere seguendolo, e non di una legge, di un comando che promette vita adempiendolo. La felicità è questione di compagnia, di stare cuore a cuore, e non di morale.

I primi discepoli di Gesù, Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni – coppie di fratelli – lasciatisi trovare dall’Amore, possono ora permettersi di cessare di faticare per conquistare la felicità. Lasciano reti che legano (leggi), e padri (gendarmi interiori) che accusano. E dinanzi all’amore che viene a cercare e ad unire a sé, si ristabilisce quella fraternità infranta col primo fratricidio, quando Caino uccise Abele, perché scopertosi troppo lontano e inadatto rispetto l’Amore. E insieme, come fratelli, ci si potrà finalmente prendere cura di tutti gli uomini prigionieri del male,  andandoli a ripescare (v. 17) dalle torbide acque della storia, per riportarli all’interno di un abbraccio che altro non sarà che sacramento dell’amore stesso di Dio.