OMELIA 4a Domenica di Avvento anno B

«Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”.29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.34Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. 35Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio”. 38Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola”. E l’angelo si allontanò da lei». (Lc 1, 26-38)

 

Dio, l’Eterno entra nel tempo.

Colui che neanche il cielo poteva contenere s’inscrive in un luogo.

Il Vangelo di oggi ci dona preziose indicazioni riguardo al tempo e al luogo della nostra salvezza.

 

Con l’annuncio a Maria, qualcosa di inaudito si va compiendo. L’uomo, da sempre intento a raggiungere il cielo, ora è da esso visitato. La religione che anela alla felicità nel tentativo spasmodico di scalare la divinità, cede il passo alla fede: vuoto che fa spazio al Dio della gioia. Tutto questo avviene al ‘sesto mese’ (v. 26), chiaro riferimento al tempo di gestazione della parente Elisabetta cui si è parlato nei versetti precedenti.

Paolo dirà che Dio si fa carne ‘nella pienezza dei tempi’ (Gal 4, 4). Luca sottolinea con forza che il sì di Maria non attende che si compia la pienezza del tempo, ma è grazie al suo sì che i tempi si sono potuti compiere.

Il sei è il numero imperfetto per eccellenza nella Bibbia, è segno dell’incompletezza massima, perché vicino al compimento assoluto che è simboleggiato dal sette.

L’uomo è stato creato – dice Genesi – al sesto giorno (Gn 1, 26). Siamo venuti al mondo imperfetti, nel senso di non ancora creati, ma in continua creazione di noi stessi, in divenire. Se come Maria pronuncio il mio sì, se accetto cioè di farmi raggiungere dalla Parola di vita nel mio vuoto esistenziale, nella mia imperfezione creaturale; se accolgo il Dio che viene e desidera entrare in relazione proprio con me, allora si compirà lentamente in me la mia creazione, nascerò definitivamente, e la mia vita diverrà anche per me la ‘pienezza dei tempi’.

 

Dio – attraverso l’angelo – raggiunge Maria nel tempo non adatto, nel ‘sesto’ mese abbiamo visto. Per vivere la nostra felicità, il compimento del nostro cuore, non dobbiamo attendere che si verifichino  circostanze esteriori eccezionali, un tempo finalmente opportuno. Ogni momento, anche il più drammatico, il mio presente per quanto macchiato dalla colpa, dall’insufficienza, dalla fragilità, può divenire la ‘pienezza dei tempi’, dove tutto si compie e viene ricreato. Mi viene richiesto solo il sì, l’accoglienza di Colui che viene a farmi visita, accettazione di un abbraccio e di una Parola: tu sei prezioso ai miei occhi, io ti amo. Si tratta solo di acconsentire, di farsi luogo, casa dell’Amore che fa miracoli per chi l’accoglie: «A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1, 12).

Non devo migliorare per accogliere Dio in me, perché è Dio in me che mi permette di cominciare a vivere una vita migliore. 

Ogni storia diviene dunque quella ‘opportuna’ per poter vivere la pienezza della felicità. Anzi, Paolo addirittura arriverà a dire che laddove è sovrabbondato il peccato, al contempo si è andato a creare uno spazio ancora più grande per poter accogliere la grazia (cfr. Rm 5, 20). Non abbiamo che questo attimo per poter godere della felicità. Se ora accolgo il Dio che viene a visitarmi, guarisco il mio passato ferito potendo finalmente vivere un futuro di speranza.

Il brano ci parla anche di un luogo preciso dove si compie l’annuncio dell’angelo a Maria: Nazaret, luogo improbabile di una regione – la Galilea – simbolo nel Vangelo della più solita quotidianità.

Dio non ha volto lo sguardo né a Gerusalemme (ombelico del mondo), tanto meno al Tempio e ai suoi sacerdoti. Il luogo della religione, il luogo da sempre preposto alla relazione con la ‘divinità’ è scartato da Dio!

Il Dio della vita, si fa presente laddove gli uomini vivono, e vivono la loro più semplice quotidianità. Siamo in un villaggio sconosciuto al mondo, e l’oggetto dell’attenzione di Dio è una ragazzina di tredici-quindici anni ancora più sconosciuta. È lo spazio solito dell’esistenza il luogo privilegiato per ascoltare la Parola, per farsi raggiungere dalla Presenza che ricrea, e vivere di conseguenza la Parola che trasforma il cuore. Il quotidiano – qualsiasi esso sia – diventa luogo teologico perché Dio possa farsi presente, abitarlo e portarlo a compimento.

Le nostre povere storie, quelle che molte volte noi disprezziamo perché apparentemente insulse, storte, senza sapore, senza ‘novità’, divengono – se diciamo sì – luogo della comunione, della trasformazione e della gioia.

Il Dio della vita viene a farci visita là dove stiamo semplicemente vivendo – o meglio ancora ‘morendo’ – e ci fa una proposta dal sapore di futuro, come la promessa fatta a Maria «darai alla luce un figlio» (v. 31).

Dio è solo promessa di fecondità! Se accettiamo di accoglierlo, di vivere la Parola, la vita diventa feconda, si apre ad un futuro, alla speranza. Se nel nostro vuoto accettiamo la Presenza, ciò che mi sta dinanzi non sarà più sterile, insensato, ma promessa di compimento. La mia vita non sarà un disfarsi col passare degli anni, ma piuttosto un costruirsi verso la pienezza: «Per questo non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4, 16). Col Cristo in noi, la nostra vita è una continua nascita: non stiamo andando verso il sepolcro ma verso il cuore di Dio pienamente formati! Per questo ha senso concepire la vita come un attendere, un ‘tendere verso’ la pienezza! Certo, perché attendere vuol dire aspettare di germogliare su quel terreno in cui ci troviamo ora, ed è sensato questo attendere perché abbiamo già dentro il seme che sicuramente sboccerà: «noi possiamo veramente aspettare solo se ciò che stiamo aspettando è già cominciato per noi. Così, aspettare non è mai un movimento da niente a qualcosa, ma sempre un movimento da qualcosa a qualcosa di più» (H. Nouwen).

 

E ciò che Dio promette si compirà senz’altro. Si compirà per noi la felicità, la gioia piena, perché Dio non può desiderare altro per i suoi figli: «Rallegrati» dice Dio a Maria (v. 28). Questo è il primo comandamento di Dio all’uomo: «Gioisci». Se ci facciamo grembi vuoti, spazi adatti ad accogliere l’Amore che viene a visitarci, la prima parola che ci sentiremo rivolgere è proprio questa: «Sii felice, ora lo puoi». Bellissimo.

 

Nel testo Dio non pronuncia il nome di Maria, ma la chiama: «piena di grazia».Graziata’, amata da Dio. Ecco svelato qual è il mio vero nome: amato da Dio. Il mio nome è l’amore che Dio ha per me. Il Vangelo vuole rivelare solo questo: io valgo l’amore, la vita stessa di Dio. Nessuna crisi d’identità ora è più possibile per noi. Non occorre più spendere denari dallo psicanalista per farci dire chi siamo veramente. Io sono l’amore che Dio ha per me. E questo mi basta, perché infinito.

«Il Signore è con te», è la continuazione del medesimo versetto. E qui Dio pronuncia il proprio nome: “Essere con”, rivelato per la prima volta a Mosè dal roveto ardente (Es 3, 14). Dio è solo pro-esistenza. Dio è colui che per stare con-me si è rivelato come io sono con te, e dato che in Dio parole e azioni coincidono, è salito sino sulla croce per donarmi la sua stessa vita, il paradiso. «Oggi stai con me nel paradiso» (Lc 23, 43). Dio vuole stare con me perché io possa stare con lui.

 

Questo è il Natale, la festa del Dio con noi, del Dio in me.

Perché io potessi guarire dalla tremenda paura di essere e di rimanere solo, abbandonato nelle mie frustrazioni esistenziali e complessi di inferiorità, costretto a scendere in ogni abisso e quindi di salire su ogni croce, Dio si rivela come l’Amore che mi dice: Non temere (v. 30). Non occorre più che ti nascondi, come Adamo per paura: «qualcuno si è innamorato di te» hai trovato grazia (v. 30).

Il Natale mi ricorda che Dio si è innamorato di me, proprio di me, per come sono ora, in questo preciso istante, e non può più fare a meno di me! Mi ama da morire, e da morirne. Io sono la passione di Dio.

Che queste feste siano la contemplazione silenziosa, attenta e commossa di questo grande Mistero.

Mistero della mia rinascita.