OMELIA 4a Domenica di Pasqua. Anno A

1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro .7Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10, 1-10)

 

Il brano di Vangelo di oggi mi ha fatto venire in mente un racconto dello scrittore ceco Franz Kafka, ‘Davanti alla legge’. Un contadino desidera entrare nella Legge, ma davanti alla porta vi è un guardiano che impedisce l’entrata. Il contadino chiede se potrà prima o poi entrarvi più avanti e il guardiano gli risponde ‘può darsi, ma per ora no’. All’ennesima richiesta del contadino il guardiano dice:  “Se ne hai tanta voglia prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l’infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell’altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io“. L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà: la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide dunque di attendere finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Il pover’uomo che per il viaggio si è provveduto di molte cose dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva: “Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa“. Dopo anni, quando ormai l’uomo di campagna è prossimo alla morte, con un cenno chiede l’attenzione al guardiano. “Che cosa vuoi sapere ancora?” chiede il guardiano, “Sei insaziabile“. L’uomo risponde: “Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?“. Il guardiano si rende conto che l’uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida: “nessun altro poteva entrare qui, perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo“.

Una parabola splendida e drammatica per indicare da una parte il desiderio naturale e profondo dell’uomo di entrare dentro la propria felicità, di abitarla in pienezza, e dall’altra la paura e l’angoscia che blocca davanti alla soglia, facendo perdere di fatto l’occasione unica di entrarvi.

Noi umani rischiamo di rimanere sempre all’ingresso della felicità, a causa d’innumerevoli torvi ‘guardiani’, che attraverso l’arma della paura, terrorizzano facendoci credere di essere sempre fuori luogo, inadatti e inadeguati, costringendoci a rinunciare a godere di quel luogo preparato unicamente per noi. Certo, noi avremo la colpa di aver dato credito ai ‘terroristi della paura’, ma la colpa più grave spetterà proprio ai ‘guardiani’ della felicità, coloro che impediscono l’entrata, in nome di leggi, prescrizioni, invenzioni.

Gesù è venuto perché questi mestieranti della paura, che riempiono le fila di ogni religione, si dissolvano, e ognuno abbia finalmente accesso alla felicità. Gesù ha detto che non v’è bisogno di guardiani al nostro cuore, perché questo sa perfettamente qual è il segreto per il suo compimento. I guardiani posti ‘in nome di dio’ dinanzi alla porta della felicità, cui occorre implorare di entrare, magari dando tutto ciò che di più prezioso si possiede, non hanno nulla a che fare con Dio.

«Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito» (Lc 11, 52).

Chi esercita il potere sui popoli, sulle masse, lo fa sempre occupandosi di ‘tutti’, come un unico indistinto. Per il potere, il singolo si confonde nella massa. Invece Gesù dice che il vero pastore ‘chiama le sue pecore ciascuna per nome, e le conduce fuori’. A Dio interessa il mio nome, perché io sono unico in tutto il mondo e in tutta la storia. E questo amore non m’imporrà nulla, non mi condurrà alla felicità tormentandomi con inutili moralismi e correggendomi come un idiota. L’amore si limita a‘condurre fuori’, laddove c’è fecondità, fuori da sistemi oppressivi e direttivi.

Il problema di come ‘guidare’ le persone è sempre stato, fin dall’inizio, il grande problema della Chiesa. Si possono guidare le persone come gli antichi faraoni e dei despoti teocratici, usando il pastorale come scettro e bastone, o alla maniera di Gesù che aveva un unico desiderio, condurre fuori le donne e gli uomini alla piena felicità. Non c’è niente da fare, in un modo diverso dal suo modo di comportarsi, non si troverà mai accesso alla felicità, ossia alla nostra vita piena, proprio quella che Gesù è venuto ad assicurarci, quella in ‘abbondanza’ (v. 10).

“Tutto ciò che vuoi è dall’altra parte della paura” (Jack Canfield).