OMELIA 4a Domenica Tempo Ordinario. Anno B

«Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea». (Mc 1, 21-28)

 

«Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro» (v. 23). Chi è questo uomo?

Potrà sembrare strano, ma questi è il simbolo dell’uomo religioso di sempre. È l’uomo nato e cresciuto nella sinagoga, luogo dove si ritiene poter raggiungere Dio attraverso l’osservanza, la preghiera, il rito e il sacrificio. È l’uomo che pensa che Dio sia tutto per lui, perché lui è tutto per Dio. Egli frequenta la sinagoga (chiesa) come un habitué, lasciandosi scorrere addosso fiumi di parole, di prediche e di riti.

Ma un giorno, finalmente, ascolta una Parola diversa, ‘altra’ rispetto a quella degli scribi, ovvero dei saggi, stimati e potenti teologi. È la Parola del Vangelo, «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4, 12).

Nella storia successe così a molti personaggi, si pensi solo a sant’Agostino, a san Francesco per il quale la parola solita del Vangelo, un giorno, è risuonata completamente nuova, e con un potere travolgente ha sradicato Francesco da sé stesso facendogli trasformare la vita.

 

Il brano di oggi, è un terribile atto di accusa (e quindi di amore nell’ottica evangelica) verso tutti noi, buoni cristiani cosiddetti ‘praticanti’, avvezzi alle cose di Dio, che si muovono con disinvoltura nella sua casa, che ascoltano da una vita sempre il medesimo Vangelo ed anticipando il Signore sempre con qualche atto religioso, in modo da tenerlo buono e mansueto, in modo che non reagisca, che non gli salti in mente di chiedere qualcosa, perché da che mondo è mondo è lui che deve fare la nostra volontà.

Ebbene, Gesù ci sta dicendo che le cose vanno un po’ diversamente.

 

Questo uomo posseduto, per la prima volta si è accorto che cos’è il Vangelo: uno sconquassamento della vita, una frantumazione di ogni idea di Dio che si porta dentro, uno svegliarsi da un torpore mortifero, scambiato come pace del cuore…

Infatti solo quando ode la parola del Vangelo, una parola nuova, vivificante comincia a gridare! (v. 23)

Il Vangelo è, come detto sopra, spada affilata che entra nella carne, nella vita, nelle scelte, nella mentalità, nei pensieri. La Parola di Gesù è atto deflagratore di ogni mia falsa pace fondata sul sentirsi ‘a posto’ in quanto triste osservante.

«Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione» (Lc 12, 51) dice Gesù; e ancora: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12, 49).

Il Vangelo non è per i pacifisti e tanto meno per i non violenti: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12).

Sì, esiste una violenza dell’amore, che come fuoco, come spada, come bomba deflagrante ti chiede di creare divisione dentro di te, di decidere cioè da che parte stare. Di prendere decisione per i poveri cristi di questa storia, di accusare i meccanismi perversi che producono diseguaglianza e povertà. Di dire di no nella propria vita quotidiana a una mentalità fondata sul compromesso, sulla legge del più forte, sui privilegi, sulle ruberie, sul successo personale, sulla vittoria a ogni costo, facendo pagare il prezzo sempre ai più deboli e vulnerabili.

 

Possiamo stare una vita nella nostra chiesa/sinagoga, a pregare un Dio a nostra immagine e somiglianza, quando lui è da un’altra parte, ovvero in coloro che abbiamo messo a parte, gli affamati, gli assetati, i carcerati, gli ammalati, gli esclusi (cfr. Mt 25, 31ss.).

Allora ha ragione questo tipo del Vangelo di oggi a dire: «Che vuoi da noi, Gesù Nazarano? Sei venuto a rovinarci?». Sei venuto a distruggere il nostro perbenismo religioso, il nostro dirci cristiani perché praticanti?

Sì, è proprio venuto a rovinare la nostra pace fasulla, creata con tanta fatica pensando che bastasse dire «Signore, Signore» (Mt 7, 21) nella sua Casa, e nel frattempo calpestarlo nella persona delle donne e degli uomini incontrati nel quotidiano.

 

Davanti a Gesù presentato al tempio, Simeone dice a Maria: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, e come segno di contraddizione» (Lc 2, 34; versione 1974). Sì, egli è proprio venuto a rovinarci, ed è una grazia. È venuto a svegliarci, a uscire dall’oblio, dalla consuetudine, ad inquietarci.

È venuto a toglierci da dentro lo spirito impuro che distorceva la realtà, sia su Dio che su noi stessi. Il Vangelo è il medicamento che espelle il pus che ci portiamo dentro, e questo non è indolore, fa urlare, destabilizza, strazia (v. 26) ma alla fine la vita può tornare ad essere vissuta in pienezza e a respirare.

 

«Taci! Esci» (v. 25) grida Gesù, non però a quell’uomo, ma al male, quel male che ci fa vedere le cose in maniera distorta, e diventa per noi abituale, tanto  che non ci disturba più.

Gesù ridona la verità all’uomo, ridona l’uomo all’uomo, perché quel male che ci portiamo dentro non è la nostra verità. «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 32).

 

«Sfasciami il cuore, Dio di tre persone,

che finora hai bussato, bisbigliato,

fatto luce e cercato di correggermi:

se vuoi che m’alzi e resti in piedi, abbattimi,

spezzami, bruciami, e rifammi nuovo.

Come città usurpata, a un altro debita,

brigo per farti entrare, inutilmente:

la ragione, che in me è il tuo vicerè,

e dovrebbe aiutarmi, è prigioniera,

e si dimostra debole e fallace.

Eppure t’amo, e vorrei esser riamato,

ma son promesso sposo al tuo nemico:

sciogli, separa, e spezza quel legame di nuovo.

Rapiscimi, imprigionami, perché

o mi fai schiavo o non sarò mai libero,

o mi violenti o non sarò mai casto» (John Donne, Preghiere teologiche)