OMELIA 5a Domenica di Pasqua. Anno B

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15, 1-8)

 

 

Per il grande psicanalista Jacques Lacan, esiste una sola domanda veramente fondamentale a cui l’essere umano è chiamato a rispondere: «hai agito in conformità al desiderio che ti abita?», oppure hai passato la vita a realizzare il desiderio, le attese e le aspettative degli altri?

È in fondo ciò che Gesù ha continuato a ripetere ai suoi e a ciascuno di noi nel suo Vangelo: cosa ne hai fatto della tua vita sino a questo momento,  hai portato frutto o ti sei ridotto ad un fico sterile? (cfr. Mt 21, 19). Sei fiorito attraverso l’amore, o ti sei consumato in una prestazione per ricevere un po’ di riconoscimento e di affetto?  Certo, perché la vita consiste proprio nel portare frutto, nel venire alla luce di sé, maturare diventando il meglio che possiamo diventare.

Il primo comandamento di Dio nella Bibbia è: “Siate fecondi” (Gn 1, 22). Rinasci! Vieni alla luce! Chi non viene alla luce di sé dissecca e diventa polvere. Una vita non fatta fiorire, è una vita che va in fumo.

 

Ma come realizzare di fatto la propria rinascita? Come vivere in modo da portare frutto?

Solo dimorando nell’Amore possiamo portare frutto. È lì che s’impara ad amare, ci si impregna dell’amore, si diventa simili all’Amante. Stando nella luce si diventa luminosi; immersi nel fuoco ci si trasforma in fuoco. Stando immersi in questa linfa vitale, allora tutto ciò che diremo e faremo, tutto ciò che scaturirà dalla nostra vita sarà sigillata dal bene, sarà un’edificazione, una costruzione del sé autentico che non potrà più conoscere la fine.

Dimorando in Dio dentro di noi, immersi nella sua stessa linfa vitale, fecondiamo la nostra vita, cresciamo “fino al punto in cui l’uomo è Dio in Dio, e Dio è tutto in tutto l’uomo” (Giovanni Taulero).

Il cristianesimo, in ultima analisi, non sarà mai una questione morale, un affaticarsi nel fare o non fare. Ma essere luce o non essere luce. E luce divento se incorporo la luce (cfr. Gv 8, 12; Mt 5, 14). Come la nuda zolla di terra diventa fiore non facendo o non facendo, ma semplicemente incorporando la luce: «Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano» (Lc 12, 27).

Non è questione di essere buoni o cattivi nella vita, ma piuttosto di lasciarsi raggiungere dall’amore o meno. Infatti la luce di Dio – il suo amore – si riversa in egual misura sui buoni e sui cattivi (cfr. Mt 5, 45) e alla sua ‘festa’ entrano tutti, buoni e cattivi (cfr. Mt 22, 10). Scopo della vita è ricevere quel sole che è Dio per essere trasformati in sole e così maturare, compiersi, diventare fecondi e in ultima analisi compiere il proprio desiderio.