OMELIA Dedicazione Basilica Lateranense anno A

«Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». 17I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà.
18Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 19Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 20Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 21Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù».

 

Il brano di Vangelo di questa domenica è il seguito del famoso episodio delle Nozze di Cana, dove Gesù trasforma l’acqua in vino, episodio attraverso cui abbiamo imparato dove il Signore sta di casa: «dove abiti?» (1, 38) infatti è la domanda fondamentale che campeggia nella prima parte del Vangelo di Giovanni. Ebbene, ora Gesù risponde in maniera definitiva: “io abito dove l’uomo si lascia amare”. Il desiderio di Dio è solo quello di entrare nella sua creatura tanto da formare una cosa sola, come in un rapporto matrimoniale. Infatti a Cana si celebrano le nozze tra Dio e l’umanità. E le nozze sono nella Bibbia sempre simbolo di festa, gioia e vita senza fine. Questo vuol dire che chi accetta di lasciarsi amare dall’Amore, è di casa in Dio, e sperimenterà che Dio abita nella festa e nella gioia profonda del cuore (Gv 16, 22).

 

Ma subito dopo l’episodio di Cana, di questa grande rivelazione, abbiamo la comparsa di un mondo che a tutto questo pare non credere. È il mondo che gira intorno al ‘tempio’, con le sue leggi, i suoi doveri, i suoi precetti ma soprattutto con i suoi sacerdoti col compito di far osservare le leggi, definire precetti e sanzionare chi non s’attiene ai doveri. Ma soprattutto son coloro che nel tempio  si arrogano il diritto di fungere da mediatori tra Dio e gli uomini.

 

In questo brano di Vangelo, si verifica la rottura definitiva tra religione e fede. La religione è il potere in mano a pochi prescelti, con il diritto e il dovere di regolamentare il rapporto di Dio con gli uomini: dire quali sono le leggi che se osservate aprono alla divinità, o se disattese allontano da lui; definire ciò che è bene e ciò che è male; dispensare la grazia solo su coloro che se la meritano.

Ebbene, con Gesù è finito tutto ciò. È finito il momento in cui tutto è concentrato su ciò che l’uomo deve a Dio. Con Gesù di Nazaret cominciata l’epoca della fede dove tutto si risolve in un accogliere l’opera che Dio desidera compiere a nostro favore.

In questo brano non si verifica tanto una ‘purificazione’ del tempio, ma piuttosto una sua vera e propria sostituzione. Il luogo simbolicamente preposto da sempre all’unione con Dio non è più un edificio di pietre ad appannaggio di pochi, il cui ingresso è tutto giocato su regole, precetti e comandamenti. Con Gesù è comparso quel luogo teologico dove si compiono definitivamente le nozze tra Dio e l’uomo, dove si realizza il sogno della felicità di ogni cuore: il corpo stesso di Gesù!

L’episodio, oggetto del Vangelo di oggi, sottolinea con forza che il rapporto con Dio non può risolversi in una bassa questione commerciale.

Chi pensa di detenere il potere, di mettere in collegamento gli uomini con Dio, chi osa decidere ciò che avvicina e ciò che allontana dalla divinità, chi si permette di dire chi è “dentro” e chi è “fuori”, ora è scacciato fuori.

 

Questo episodio si compie in prossimità della  Pasqua, che Giovanni si premura di definire “dei Giudei” (v. 13), intendendo che si continua a perpetuare una Pasqua ancora imperfetta: la liberazione, il passaggio dalla schiavitù alla liberazione, dalla morte alla vita, non può avvenire per assolvimento di norme morali, di precettistica, e di osservanze. Merita ricordare che in prossimità della Pasqua salivano al tempio migliaia di persone, e si compiva una mattanza di circa 18-20 mila agnelli, senza contare il giro di denaro necessario, sottoforma di tasse, per poter accedere al tempio stesso.

Solo da lì a poco si compirà, sempre a Gerusalemme ma non più in un tempio fatto da mani di uomini (cfr. Mc 14, 58; Eb9, 24) bensì sul legno di una croce e nel corpo di Gesù, la vera Pasqua del Signore, il compimento dell’Amore. Solo il suo amore gratuito, immeritato, ci ha permesso di vivere la liberazione dal male, dalla schiavitù, la gioia senza fine entrando definitivamente in comunione con Dio.

È significativo che l’episodio della ‘purificazione’ sia posta all’inizio del Vangelo: prima di entrare nella bella notizia del Vangelo appunto, occorre essere liberati, purificati da una falsa immagine di Dio come commerciante e della religione come mercato del dare e avere: «noi gli diamo delle cose perché lui ce ne dia delle altre, facciamo dei sacrifici perché ci faccia dei favori, facciamo opere buone perché ci dia il premio. Concepire Dio in termini di legge, di obbligo, di dovere, di debito, di paga, di castigo, di premio invece che in termini di amore, di risposta, di alleanza, di nozze, è stravolgere la religione e Dio morirà per questo. L’ipotesi che sembra più vera è che Dio non è morto per i peccatori, per i peccatori non occorreva morire – bastava dire: Siete salvati! – è morto per i giusti, per convincerli del loro peccato, il peccato di avere un’ipotesi così cattiva su Dio. E Dio deve proprio morire in croce per dire: non sono così!» (Silvano Fausti).