OMELIA Domenica delle Palme

«[…] Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 35Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. 39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio! […]». (Mc 14, 1-15, 47)

 

Domenica prossima, detta delle Palme, quando verrà letto il Vangelo, questo non sarà anticipato dalle parole ‘dal Vangelo secondo Marco’, ma uno dei lettori proclamerà: ‘Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco’.

 

Sedutici, ci raggiungeranno parole che racconteranno sì la passione di Gesù, ma non nel senso di ciò che Gesù ha patito, ma nel senso della ‘passione’ che Dio ha per me! Saremo così al culmine del Vangelo, della bella notizia: Dio nutre una passione smisurata per me e per tutti i suoi figli.

Ascolteremo i due capitoli in cui Marco narrerà la passione di Dio per l’uomo rivelataci in Gesù di Nazaret, la bellezza ultima e quindi più grande.

L’oggetto della passione dunque non è la sofferenza patita da Gesù, ma l’amore che si dona sino alla fine. Non siamo stati salvati dalla sofferenza di Dio (la sofferenza di per sé non è mai salvifica!), ma dall’amore che quando va fino alla fine conoscerà necessariamente la ferita e dunque anche il dolore e la sofferenza.

La passione di Gesù è la lettera d’amore di Dio impressa nella carne del figlio crocifisso, anche se misteriosamente scritta dai suoi stessi nemici; Pilato, in Giovanni, dirà proprio: su quel legno, «quel che ho scritto, ho scritto» (19, 22). Gesù crocifisso è l’ultima e definitiva parola dell’amore di Dio all’uomo.

 

Domenica prossima saremo, nelle nostre chiese, destinatari di questa missiva. E c’è da sperare che potremmo commuoverci ad ascoltare con quale passione l’Amato si rivolge a ciascuno di noi. Un amore che per raggiungere tutti i crocifissi della storia è salito lui sulla croce (cfr. 15, 24); un amore fedele che non abbandona i suoi, non scende dal legno perché l’amante sta con l’amato, e accetta di morire perché l’amato non conosce la morte (cfr. vv. 30s.); un amore che per scovare tutti i suoi figli nascosti nei sepolcri non ha esitato ad entrarvici (cfr. v. 46); un amore che per guarirci dall’idea di un Dio geloso, cattivo e giudicante s’è mostrato dono assoluto.

Un Dio che si è fatto luce splendida sul candelabro della croce per illuminare le nostre tenebre più grandi. Un Dio che ha vissuto l’abbandono più grande per non farci più sentire abbandonati (cfr. v. 34)

Un Dio che dona la sua vita, lo Spirito dell’amore a noi incapaci di amare e perciò soliti a far pagare il prezzo del nostro egoismo a tutti i cirenei della storia (cfr. v. 18); un amore  che ha squarciato definitivamente il velo che era frammezzo tra Dio e l’umanità da sempre (cfr. v. 38) e che ci teneva a distanza salvo prestazioni religiose, sacrifici ed espiazioni, donandoci una libertà di figli e introducendoci nel suo stesso cuore, tanto da poter pronunciare la parola nuova e definitiva: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).