OMELIA II domenica di Avvento. Anno B

Mc 1, 1-8

Ἀρχὴ τοῦ εὐαγγελίου Ἰησοῦ ⸀χριστοῦ. Così comincia il vangelo di Marco: ‘Inizio del vangelo di Gesù Cristo’. La prima parola in greco è Arché, che – come nell’incipit del vangelo di Giovanni – non esprime tanto inizio, abbrivo, quanto fondamento. E Marco sta ponendo a fondamento della buona notizia, cioè del vangelo, un personaggio che vive d’essenziale e un deserto come luogo vitale.
Il Battista ha una certezza: perché possa accadere, appalesarsi qualcosa di nuovo, occorre vivere d’essenzialità e silenzio. Di vuoto e distacco. Di solitudine e d’ascolto.
In caso contrario ciò che ci raggiungerà sarà solo il solito, il déjà vu, la ripetizione. L’aridità.

Il deserto è figura del vuoto, non come immagine del nulla, ma come pura potenzialità, luogo dove anche l’impossibile può farsi possibile.
Il Battista prepara l’accadere di Gesù Cristo, e lo fa ritirandosi nel deserto, vestendo di nulla e mangiando l’essenziale: dove non c’è più un io e un mio, allora là dentro si compie finalmente l’azione del Tutto.
Il significato profondo della nostra vita è una povertà, un vuoto appunto che è insieme disfatta e possibilità. Diventiamo come vasi vuotati d’acqua per poter essere riempiti di vino. Siamo come vetri ripuliti dalla polvere per ricevere il sole e sparire nella sua luce. «Quando cominciamo a scoprire questo vuoto, nessuna povertà è abbastanza povera, nessun vuoto è abbastanza vuoto, nessuna umiltà ci abbassa quanto vorrebbero i nostri desideri» (Thomas Merton).

Abbiamo bisogno di interrompere, di ritirarci, di sospenderci. Il deserto, la solitudine, il silenzio è il primo passo perché possano succedere gli altri, e cominciare ad intravedere una meta.
Il ritiro, lo spazio silenzioso e vuoto, è grembo fecondo dove possono nascere parole sensate, pensieri costruttivi, relazioni buone.
Vivere ‘silenziosamente’ permette di prendere le distanze dalla vita che stiamo conducendo come è necessario distanziarsi dinanzi ad un quadro per coglierne tutta la bellezza e la verità.
Facciamo dieci passi indietro rispetto alla nostra vita, e ci accorgeremo di quanto abbiamo sbagliato le misure nei riguardi di avvenimenti, relazioni e situazioni.

“Tu qui sedes in tenebris spe tua gaude: orta stella matutina sol non tardabit”; Tu che siedi nelle tenebre, rallegrati nella tua speranza: la stella del mattino che sorge, non tarderà.