OMELIA III domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Lc 1, 1-4; 4, 14-21
Sempre sul punto di venire al mondo, (ciò che chiamiamo) Dio ha bisogno d’essere dato alla luce.
Pura potenzialità, ‘Ciò’ emerge laddove s’incarna il principio dell’amore. Gravidi di Dio, lo si darà alla luce nella misura in cui ci prenderemo cura del nostro mondo interiore, dell’altro e del creato.
Dio non è amore, ma piuttosto è l’Amore ad essere Dio.
«La divinità s’incontra quando l’umanità diventa così integra e profonda, quando si vede una persona senza difese e senza potere che è capace di darsi totalmente. Questo è il momento in cui il Gesù umano ci apre gli occhi a tutto ciò che significa Dio e ci permette di vedere tutto ciò che Dio è. Non è attraverso il divino che noi sperimentiamo l’umano; piuttosto il contrario, è dall’interno dell’umanità che sperimentiamo il divino» (John Spong).
Non c’è bisogno di credere in un dio. La credenza non fa che moltiplicare le nostre limitate e insulse immagini, proiezioni, pensieri su ciò che reputiamo essere lui, requisendolo nell’angusto spazio del tempo e dello spazio, e riducendolo ad oggetto tra oggetti. A cosa fruibile. La questione è vivere di fede. Perché la fede non è ‘rappresentazione’ di un qualcosa come altro da sé, ma un sapere che è ‘sapere d’essere Ciò’. A quel punto, come afferma Margherita Porete non vi è neanche più bisogno di Dio, giacché non si ha bisogno di ciò che si possiede: “L’anima non cerca più Dio, non ne ha motivo, non sa che farsi di lui. Non ne ha bisogno; perché dunque dovrebbe cercarlo?” (Lo specchio delle anime semplici).
Va da sé che ‘il Dio’ nei riguardi di questo mondo, non potrà fare nulla dall’esterno. Semplicemente ha posto sé stesso nella creazione stessa – e dunque in noi -, come principio del Bene e della Vita che avanza, quel principio evolutivo che tutto avvolge e conduce alla luce, e riguardo al quale siamo chiamati ad essere responsabili con la nostra azione nel mondo.
La questione sarà dunque prenderci a cuore lo spazio e il tempo affidatici, collaborando come possiamo, seminando semi di bene e di luce, come antidoto all’oscurità, e che per quanto piccoli, saranno comunque in grado di sprigionare energia infinita, creatrice e vivificante.
E tutta la pasta sarà lievitata.
«A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi» (Etty Hillesum).