OMELIA Natale del Signore

«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:

14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama». (Lc 2, 1-14)

 

 

Fa’ in modo che Dio sia grande in te” recita uno degli aforismi più noti del grande mistico tedesco Meister Eckhart.

Credo che la nostra vocazione umana, consista nel divenire sempre più umani, facendo crescere –  lasciando spazio – il divino in sé. Proprio come Maria, che nella sua verginità – ossia ‘vuoto consapevole e fecondo’, in cui tutto poté accadere – permise a Dio di essere grande in lei, tanto da renderlo-presente-nel-mondo.

 

Cos’è per noi il Natale se non questa rinnovata consapevolezza di divenire sempre più un tutt’uno con la divinità che ci abita e quindi abilitati a rendere presente Dio nel mondo, ad incarnare Dio? Può il Natale ridursi ad un semplice far memoria di un evento accaduto venti secoli fa?

 

Celebrare il Natale significa ri-nascere, venire sempre più alla luce di noi stessi dunque: «Mia madre mi ha messo al mondo una volta, certo. Ma io mi sono partorita di nuovo un milione di volte» (Sarah Levine). Significa diventare sempre più esseri umani completi, portare a compimento la nostra unica missione esistenziale: costruire la nostra propria statua interiore (Plotino).

 

«Fa’ come Dio, diventa uomo!» (don Giovanni Giorgis).

 

E tutto ciò facendo in modo che Dio s’allarghi sempre maggiormente nel nostro essere più profondo. Nell’incipit del Magnificat, Maria esclama letteralmente queste parole: «L’anima mia (letteralmente sarebbe ‘la mia vita) si ‘espande/dilata’ in Dio mio salvatore», in quanto il verbo usato è megalùnei da megalùno, che significa sì magnificare, ma anche espandere, dilatare.

È questo d’altra parte, il senso profondo di ‘salvezza’ nel contesto biblico: dilatare, compiere, aprire in avanti, concedere futuro.

 

Fa’ in modo che Dio sia grande in te”. Il Natale è consapevolezza sempre maggiore che Dio è all’opera in noi, che ci ‘possiede’ nella misura in cui glielo permettiamo, sino ad arrivare a dire con Gesù: ‘Io e il Padre siamo una cosa sola’ (Gv 10, 30; cfr. Gv 17, 11.21.22), e ‘Chi ha visto me ha visto il Padre’  (Gv 14, 9).

Celebriamo il Natale nella misura in cui la nostra vita diviene sacramento del Dio che s’è dilatato in noi, e dal momento in cui mettiamo in campo la vita nata, scaturita da questa unione: energie positive in grado di imbevere la storia, luce in grado di trasfigurare il presente, la libertà, l’intelligenza, la fiducia, la speranza, la capacità di volere e di fare il bene.

 

Vivremo il Natale nella misura in cui, da uomini e donne trasfigurate dal Dio in noi, diveniamo operatori di pace, quando contrasteremo il male col bene, quando rialzeremo chi è prostrato nella polvere, quando accoglieremo i reietti dai popoli, quando faremo dei limiti, le fragilità e le colpe degli altri non pretesto di violenza e separazione, bensì possibilità di abbraccio, perdono e occasione di rinascita.

 

Solo allora potremmo cantare nella santa notte “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà”, quando impareremo a considerare quella ‘e’, non una mera congiunzione, ma una sorta di condizionale: Dio sarà affermato in tutta la sua gloria (‘peso’ letteralmente), nella misura in cui sarà affermata la pace tra i suoi figli in questa nostra terra.