OMELIA Santissima Trinità anno A

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Dio è Trinità, ovvero amore reciproco di tre Persone, amore che si realizza nel tutto ricevere e tutto donare. Dio può essere Amore solo in quanto Trinità. Non si dà amore in un solipsismo individualista e autoreferenziale.
Nella solennità di oggi, ci vengono offerti i pochi ma intensi versetti del capitolo terzo di Giovanni. Gesù è l’amore del Padre, amore che viene mostrato e profuso dalla Croce per ‘questo’ mondo. E non per un altro, magari più buono e capace di corrispondergli maggiormente. Dio ama proprio questo mondo, e quindi incredibilmente anche me, essere in questo mondo, impastato di fango e di cielo.
Uno può vivere solo se sa che alla sorgente del suo essere vi è un amore. In caso contrario, se si pensa che alla propria origine vi è solo violenza, lotta, il caso o il nulla, la vita sarà consumata nella violenza, nella lotta, in balia del caso in un precipitare verso il nulla.
La psicologia ci ricorda che tutti i conflitti che una persona vive con se stesso,  in ultima analisi, non sono altro che declinazioni dei conflitti vissuti nella relazione con la propria origine, i genitori. Se uno non si sa amato, non può amarsi, e non potrà amare.
È questo l’unico peccato ‘originale’ che abbiamo tutti: non credere all’amore. E Gesù è venuto proprio a toglierci questo peccato, la cattiva immagine che possediamo di Dio. Gesù, nella pericope precedente (Gv 3, 13ss.), è entrato col flagello nel Tempio di Gerusalemme, al fine di distruggere una falsa immagine di Dio: Dio non è un “luogo di mercato” o di “commercio”, è un’altra cosa, è il contrario di come lo pensano tutte le religioni; non è il giudice, non è colui che condanna, ma l’amore che finisce in Croce proprio per me che l’ho messo in croce; è Colui che conosce tutto lo spessore della storia umana e della sua negatività, e non si dissocia da questa, non si allontana, ma l’assume su di sé portandola.
Dio mandò suo Figlio perché il Figlio ci insegnasse ciò che siamo noi, unicamente figli. E ci insegna ad amare gli uomini e le donne che ci stanno accanto come Lui li ha amati, da fratelli e sorelle. È venuto a ridare all’uomo la sua dignità unica, il suo valore assoluto, perché in fondo uno vale quanto è amato, perché quello è il suo prezzo. Noi valiamo la vita di Dio.
Da qui il rispetto per ogni persona, in qualunque condizione essa si trovi.
«Chiunque crede in lui [nel Figlio] non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (v. 16). Cosa vuol dire credere nel Figlio? Vuol dire affidarsi al Figlio, vuol dire vivere del Figlio, vuol dire vivere da figli. E la vita eterna – termine che in Giovanni significa sempre vita qualitativamente così grande da vincere anche la morte, e non dunque vita dell’aldilà – è vivere da figli, non da padreterni.
La vita più forte della morte è vivere da fratelli, è amarci come Dio ci ha amati. Questo è il paradiso. Vivere in un altro modo è semplicemente trasformare la propria vita in un inferno.
Al v. 17 si parla di condanna, sottintendendo l’idea di giudizio, termine che verrà ripreso al v. 19. Gesù sta dicendo che Dio non ha mandato il Figlio per giudicare e condannare. Dio non vuole condannare nessuno, vuole salvare tutti: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1Tm 2, 4). Altrimenti che Dio sarebbe? Egli non ha predestinato nessuno alla condanna, ma tutti al bene, alla felicità, perché siamo tutti amati come figli. Dio ha però un difetto che dovremmo imitare anche noi: Egli non può non rispettare la libertà degli uomini. Non vuole costringere l’uomo a fare ciò che vuole lui, non vuole costringere l’altro all’assenso.
La fede è la fiducia che si dà all’amore.
Quindi è chiaro che Dio non è venuto per giudicare come pensiamo noi, ma a salvare. Infatti l’unico giudizio di Dio sul mondo è e sarà unicamente la Croce. Giudicandomi Dio mi dice: «preferisco finire in Croce io che condannare te». Quindi il giudizio di Dio sul mondo è il suo amore assoluto. Per questo che Dio si rivela tale solo sulla Croce. Dio ci giudica, e ci giudicherà, perdonandoci!
La salvezza dell’uomo allora sarà semplicemente questione di credere a questo amore: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» (v. 18).
Non crederci vuol dire estromettersi da questo circolo dell’amore, vuol dire non accettare di essere figli, vuol dire giudicarsi da sé, ovvero non accettare la propria verità, quella di essere figlio amato e fratello di ogni uomo. Quindi il giudizio non lo compie Dio su di me, ma io su me stesso.

La festa di oggi, detta della Trinità, ci faccia memoria di tutto questo, di quale disegno sta all’origine di noi stessi, di quale splendida trama Dio sta tessendo la nostra storia, anche se spesso non ci è dato che vedere il rovescio dell’arazzo.