OMELIA SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO. Anno A

«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». (Gv 6, 51-58)

L’ultima cena di Gesù con i suoi, ha avuto come significato fondamentale quello di ‘ultimo saluto’, prima del precipitare degli eventi. Intorno a un tavolo con quelli che ha scelto, Gesù parla e compie gesti perché i suoi non dimentichino il loro impegno per il bene degli uomini. In pochissime parole e in un gesto fondamentale.
Gesù concentra anni di predicazione e segni straordinari: ciò che salva è il dono di sé per il bene dell’altro, sino alle sue estreme conseguenze.
La cena di Gesù è quindi, essenzialmente, un rito commemorativo: facendo memoria del nucleo incandescente del Vangelo, lo si rivive incarnandolo nell’oggi. Gesù infatti in quella cena parlò di memoria: “fate questo in memoria di me”, il ché non vuol dire ‘moltiplicate le messe in memoria di me’, perché l’eucaristia non potrà mai essere semplice rito celebrativo-consolatorio. La cosiddetta ‘messa’ non è atto autoreferenziale, né auto celebrativa. Il suo significato essenziale si compie solo se realizza un’uscita di sé verso l’esterno, un dono di vita. Altrimenti la si riduce a puro atto magico. ‘Fate questo in memoria di me’, significherà dunque, “se siete miei discepoli vi metterete a servizio degli uomini donando voi stessi come ho fatto io, versando il ‘sangue’ (ossia la vita) e spezzando il corpo come pane”.
La festa del ‘Corpus Domini’, non è semplice ricordo del ‘mistero eucaristico’, e neanche atto cultuale per rendere gloria a Dio, il quale non ha bisogno certo della nostra gloria, ma memoria, ricordo del ’dono di sé’ che Gesù visse, e al contempo memoria dell’essenza del nostro essere discepoli: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 35).
Celebrare l’eucaristia, nutrirsi del pane e del vino, vorrà dunque dire impegnarsi ad uscire in missione (- messa) verso i fratelli e accettare fino in fondo ‘le conseguenze dell’amore’, unica possibilità di vivere in pienezza, ossia con quella qualità di vita in grado di vincere anche la morte. Mangiare il corpo e bere il sangue di Gesù è quindi atto simbolico, rimando al suo essere pro-esistenza a favore degli uomini e al nostro essere cristiani, che ci compiamo nell’amore verso i fratelli.
«La relazione sacramentale non è fine a sé stessa, ma è ordinata alla missione della chiesa. Gesù ha reso presente Dio nella storia umana con la sua attività e la sua esistenza. Per questo è stato chiamato sacramento di Dio, segno cioè della sua presenza nel mondo. Fare memoria di Cristo significa evocare questa sua missione salvifica e impegnarsi a essere epifanie viventi, ambiti della sua azione nel mondo. Così se chi partecipa all’eucarestia e non mette in moto la fede, c’è l’azione di Dio, ma il rapporto di presenza non si stabilisce» (Carlo Molari).