OMELIA VI domenica del Tempo di Pasqua. Anno C

Gv 14, 23-29
«Se uno mi ama… » dice Gesù (v. 23). Ora, cosa potrà significare “amare Gesù”? Se è vero che noi siamo immersi nella divino-umanità del Cristo, se è vero che siamo cristici, dimora del divino (‘Prenderemo dimora presso di lui’ (Gv 14, 23), se è vero che siamo ‘a sua immagine e somiglianza’ credo che ‘amare Gesù significhi’ permettergli d’amarmi, ovvero non porre ostacolo col ‘mio e l’io’ alla sua azione vivificante in me. Divenire trasparente alla sua presenza e azione in me.
La questione è sempre la medesima: «Chi odia la propria vita in questo mondo, la conserva per vita eterna» (Gv 12, 25), e qui ‘odiare’ sta per ‘espropriare’ il proprio falso sé, l’ego, per far spazio al divino che siamo, il nostro ‘Sé autentico’.
‘Amare Dio’ sarà dunque una sorta di ‘non azione’, al fine di lasciare a lui l’unica azione che conta. D’altra parte noi siamo per natura ‘piena ricettività’, e ciò che ci viene richiesto è solo di «coltivare tutte le nostre potenze mentali, psichiche e sensoriali perché si sviluppi in noi il divino, di cui poi fare esperienza di tale sbocciare» (W. Jäger).
Allora comprenderemo perché Gesù continua dicendo: «Se uno mi ama… noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (v. 23). Nella non-azione, nel rinunciare a ‘scalare il cielo’, si godrà finalmente del cielo in noi.
Una volta che Dio si espanderà in noi, plasmati e trasformati in lui, diverremo detentori dello Spirito santo (v. 26) e della pace (v. 27). I due doni del risorto.
E questo Spirito di Dio in noi, assolverà due compiti fondamentali:
1) «Insegnerà ogni cosa» (v. 26a), ossia che lui è Padre, che noi siamo figli e quindi che l’unico modo per vivere è lasciarsi amare, scoprirsi e vivere da fratelli.
2) «ricorderà tutto» (v. 26b). ‘Ri-cordare’, etimologicamente vuol dire ricondurre nel cuore. Chi è in Dio, chi è stretto in questa unione, può dimorare finalmente in sé stesso, all’interno di sé, non è più costretto a perdersi, non è più frantumato in mille pensieri e azioni che non gli appartengono. Ha le radici ben radicate in sé, al centro del suo cuore.
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (v. 27).
La pace è la serena certezza che in questa unione intima con Dio, non è più necessario crearsi nemici per vivere in pace. Infatti mentre la pace del mondo (cfr. v. 27b) è quella fondata sulla violenza, sulla paura, sul dominio, su pericolosi giochi d’equilibrio, la pace di Cristo è frutto della vittoria del bene sul male, o meglio del male attraversato dal bene.
La consapevolezza di essere una cosa sola con la divinità che ci pervade, ci fa vivere nella pace, quella che niente e nessuno potrà toglierci.