OMELIA XIII domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Mc 5, 21-43
Nella vita non ci è chiesto di diventare migliori ma semplicemente noi stessi.
Doversi migliorare per compiacere il mondo, farsi trovare sempre a posto, corrispondere alle altrui aspettative, alla lunga si rivela un bagno di sangue (l’emorroissa del brano), tanto da morirne (la figlia di Giàiro).
Questa ‘donna’, espressa dalle due diverse figure femminili del nostro brano, non ha un nome proprio. È semplice ‘cosa altrui’. Proprietà di maschi-padri-padroni (‘la mia figlioletta’ v. 23) ella dovrebbe essere già fuori dalla tana (ha infatti un’età da marito: dodici anni) e invece è ancora lì, a dissanguarsi per compiacere.
La vita è piena di vite che si dissanguono in matrimoni falliti da tempo; persone che s’annientano in lavori che non hanno scelto; anime pie che si consumano in conventi per paura di prendersi in mano.
Vite addormentate, non vissute, morte.
L’unico desiderio della divinità è che la donna e l’uomo ‘abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza’ (cfr. Gv 10, 10).
L’unica vocazione dell’uomo è venire alla luce di sé, risvegliarsi alla pienezza, permettendosi di essere felice. Inferno è il non vivere.
Gesù entra nella stanza di questa giovane donna che tutti considerano ‘morta’ e la prende ‘per mano’, come una sposa, e risvegliandola le dice: «alzati, ora prendi in mano la tua vita, fanne un capolavoro di fecondità. Vivi in pienezza, non pagare più il prezzo ad altri della tua felicità. Sii te stessa».
«E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male» (v. 29).
«Alzati”, intraprendi la strada che sei in grado di percorrere da te, alzati e decidi da te la direzione da imprimere alla tua vita» (E. Drewermann).
«Il processo di ricerca è sempre una discesa graduale alla scoperta di sentimenti sepolti, alla scoperta del proprio mondo interiore, dove è possibile riprendere in mano il filo della propria storia. L’uomo scopre così che chiunque abbia sepolto o espulso dalla sua coscienza e lasciato dietro sé nel passato (il bambino che era, i genitori come figure di dimensioni sovraumane, persone che un tempo amava o temeva) è ancora vivo dentro di lui; qualunque cosa sia stata sepolta, esiste ancora nel mondo interiore. Qualsiasi cosa sia stata smembrata, è stata come “sepolta viva” e quando la si scopre, è lì, intatta come allora» (J.S. Bolen).