OMELIA XIV domenica del Tempo Ordinario. Anno A

«In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”». (Mt 11, 25-30)

Gesù – stando alla traduzione letterale del passo parallelo di Luca – “danza di gioia” perché finalmente il Padre ha trovato qualcuno che s’è reso disponibile a lasciarsi raggiungere dal suo Amore.
Gesù ci ricorda chi sono coloro che possono essere ricettacoli di questo amore, causa della gioia di Dio. Non certo i sapienti, ovvero quelli che credono di avere in pugno la verità, e neanche i dotti e i saggi, ossia quelli che credono di sapere sempre come dirigere le cose a proprio vantaggio, compreso la stessa volontà di Dio. I sapienti e i dotti son pieni di sé, ma un vaso pieno non può essere ricettacolo di dono alcuno. Perciò saranno i piccoli coloro che possono ricevere il dono dell’amore, perché l’amore per definizione non va conquistato con la sapienza e l’intelligenza, né guadagnato coi meriti e la purezza. I piccoli sanno di non meritare nulla. Letteralmente questi sarebbero gli ‘infanti’, ovvero coloro che non sono in grado di proferire parola. Ebbene, proprio perché in questa situazione, questi sono in grado di riceve l’unica Parola che salva.
Per cui Gesù esulta, danza di gioia perché gli unici che possono ricevere la grazia della salvezza sono i peccatori, i bisognosi, i ‘vuoti’ a perdere… Dove c’è il bisogno c’è il desiderio, dove c’è il desiderio c’è il dono, dove c’è il dono c’è Dio. Perché Dio è solo dono, e non può non donarsi a chi si riconosce come puro desiderio.

«Prendete il mio giogo sopra di voi» (v. 29). Il giogo era uno strumento di legno che univa due bestie, in modo che il lavoro di aratura, in vista di un abbondante frutto, potesse essere ottimizzato. Gesù ci dice che esiste un altro giogo che se accolto, ci permetterà di ottenere un raccolto abbondante di vita: il legno della croce, ossia il suo amore per me. Col suo amore riversato in noi (cfr. Rm 5, 5), ora possiamo arare il nostro quotidiano e far cadere nel solco quel seme che è caparra di vita compiuta.
Nella sua croce abbiamo l’offerta del suo amore, promessa di compiutezza e possibilità che le nostre croci trovino senso e possano sbocciare come fiori. Con la sua croce si è unito a noi, in modo che il tutto di noi ora faccia parte di lui. E così ameremo nel mondo come ha amato lui, con mitezza e umiltà (v. 29), ovvero con lo stile di Gesù che non ha mai fatto pesare la sua autorità, perché l’unica autorità di Dio è solo il servizio, e ritenendo ciascun fratello superiore a sè stesso, sino a fargli dono della propria stessa vita.