Sap 18, 6-9
Eb 11, 1-2; 8-19
Lc 12, 32-48
Siamo tutti amministratori di un tesoro fragile e luminoso: la nostra vita.
Il Vangelo di questa domenica è un appello accorato a vegliare, a essere presenti, a custodire il capitale più prezioso che ci è dato — non l’oro né il tempo, ma la nostra essenza, il Sè autentico che cresce donandosi.
I verbi si susseguono come un canto di risveglio: essere pronti, attendere, aprire, vigilare, agire… Ogni verbo è un richiamo all’attenzione, all’arte del vivere desti, non assopiti nel torpore del consumo o del calcolo.
Il vangelo ci ricorda che vi sono due modi per amministrare la propria vita:
accumulare grano, come nella parabola di domenica scorsa, e illudersi di possedere l’essenziale, oppure donare grano, nutrire altri, condividere ciò che fa vivere, e così scoprire che è nel donarsi che si riceve la pienezza.
«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» (Lc 12,43). Felice chi si scopre intento a far felici gli altri. Perché allora — dice il Vangelo — Dio stesso gli affiderà tutti i suoi averi (v. 44). Ma che cosa possiede Dio da poter affidare agli uomini? Null’altro che sé stesso ovviamente. Va da sé che colui che ama, partecipando della medesima vita di Dio ne diventa trasparenza vivente.
«Dio è amore, e chi sta nell’amore dimora in Dio» ci ricorda Giovanni (1Gv 4,16).
Non un amore sentimentale o astratto, ma quello che si traduce in pane spezzato, in cura prestata, in presenza che solleva. Chi invece vive solo per possedere, centrato sul proprio piccolo io, conoscerà una vita lacerata. E il testo è duro, spiazzante: «Il padrone […] lo dividerà in due» (Lc 12,46). Non è punizione dall’alto, ma l’effetto naturale di una vita egoista: ci si disgrega. L’egoismo manda in pezzi.
Si vuole la felicità, ma si scelgono le vie del consumo e del narcisismo. Si desidera amare, ma si finisce per difendersi. E il cuore si fa campo di battaglia.
Occorre dunque vegliare, stare attenti a come ci giochiamo l’esistenza. Non domani. Non altrove. Ma qui e ora. Ogni gesto, ogni parola, ogni scelta è seme nel campo del tempo.
E Gesù, uomo del risveglio, ci ricorda che dire “io” non è affermare sé stessi contro l’altro, ma dire all’altro: eccomi, perché «Dire “io”, significa dire – all’altro – “eccomi”» (E. Lévinas)