OMELIA XVII domenica Tempo Ordinario. Anno C

Lc 11, 1-13

C’è una crescita, un diventare adulti anche riguardo la preghiera.

Gesù invita a chiedere e domandare, ma altrove dice: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6, 7).

O si contraddice o ci guida alla maturità spirituale.

Faccio mie le parole del Mistico Eckhart riportate dall’amico Marco Vannini.

«È assurdo essere in rapporto con Dio, in comunione spirituale con Lui, dunque nella pura luce, ed andare a cercare qualcosa di comunque inferiore. Sotto questo profilo, anzi, la preghiera come richiesta viene bollata da Meister Eckhart con parole di fuoco: chi si rivolge a Dio per chiedergli qualcosa lo ama come ama la vacca, che viene tenuta per avere il latte; lo segue come il cane segue la donna che porta la salsiccia, perché è interessato a quella; lo tratta come un servo, cui regala gli abiti vecchi e vili, i vestiti smessi, ecc. Chiedendo a Dio qualcosa di diverso da Lui si dimostra infatti che ciò che veramente amiamo, desideriamo, è quel qualcosa, non Dio, che diventa invece subordinato, strumentale – un servo, appunto, un idolo» (Marco Vannini).

Preghiera per me oggi è fare esperienza della mia natura profonda, ossia del divino di cui sono manifestazione. È un perdermi lì, in questo Uno di cui sono parte. E mi chiedo: in questa pura unione, che bisogno c’è di chiedere ancora qualcosa? Se sono nel Tutto perché chiedere briciole? Qualsiasi cosa domandassi si tratterebbe comunque e sempre di una realtà infinitamente più piccola e inferiore. È come vivere un amplesso con la persona amata e al contempo scriverle lettere d’amore.

Faccio fatica pensare oggi la preghiera come un dialogo, perché troppo alto il rischio di un monologo auto gratificante. E tanto più faccio fatica pensare la preghiera come l’invocazione ad esempio della pioggia, in questo drammatico momento di siccità. Mi pare rito tribale, e poi mi fa sorgere una domanda: se un dio lassù in alto e un po’ capriccioso concedesse alla fine anche l’acqua, perché avrebbe avuto bisogno d’essere invocato per donarla?