OMELIA XX domenica del Tempo Ordinario

Mt 15, 21-28
Una donna straniera e quindi impura converte Gesù di Nazareth.
Sì, perché per Gesù l’ebreo, è chiaro come il sole che il suo dio sia quello sempre ‘dalla nostra parte’, il piccolo dio nazionalista che protegge il suo popolo annientando i nemici.
La Legge è chiara: lo straniero – per di più se donna – è semplice cane impuro che non merita attenzione, e tanto meno esaudimento da parte del Dio d’Israele.
Ma la ‘cagnolina’ non ci sta. Non ci sta e grida. Grida anche se il cielo per lei rimane – per il momento – blindato.
Donna concreta come la roccia e trasparente come l’aria, porta in sé un’altra idea di Dio: amore vivificante che fa fiorire qualsiasi tipo di terra, anche il deserto. Per questo non si dà per vinta, come solo le donne sanno fare perché sanno che in fondo l’Amore deve poter riempire i vuoti, e colmare abissi.
Per questo ella sta ed attende.
“L’attesa trasforma il tempo in eternità” (Simone Weil).
E dinanzi a questo eterno-femminile che sa che ogni vuoto è possibilità di concepimento, Gesù compie un passaggio di soglia: scopre cos’è la fede: non credenza nel piccolo dio-maschio-onnipotente e nazionalistico, ma abbandono all’Amore come fornace trasformante.
Lode a questa donna che con tutta sé stessa ha narrato il vero volto di Dio a tutti quei maschi che hanno sempre pensato di avere dio dalla loro parte, ma soprattutto che si son creduti dio.
Anche oggi il vangelo è invito pressante alla dura conversione dei buoni.