OMELIA XXIII domenica del Tempo Ordinario. Anno A

Mt 18, 15-20
Dinanzi alla caduta, al limite, all’offesa dell’altro, Gesù invita a tentarle tutte per ristabilire un rapporto vitale. Ora, se l’altro s’ostina a non riconoscere il male commesso, Gesù dice: «sia per te come il pagano e il pubblicano» (v. 17). Il che non significa allontanarli e condannarli! I pagani e i pubblicani nel vangelo son coloro per i quali Gesù ha dato la vita. Son coloro che non sanno di essere amati, per cui il mio atteggiamento dovrà essere mostrar loro un amore capace di andare fino alla fine. Va da sè che le persone più difficili, i casi apparentemente non recuperabili in una comunità (civile o religiosa che sia) non vanno abbandonati al loro destino e condannati. Son proprio quelli da amare di più.
Gesù ricorda a questo punto, a ciascuno di noi, che tutta la comunità, ogni suo membro ha il medesimo potere di Pietro e quindi di Gesù che glielo ha conferito, ovvero il potere di sciogliere, o se vogliamo, di perdonare. Sì, perché l’unico potere che Dio possiede non è quello di legare, ma di sciogliere. Il Maestro è chiaro riguardo la sua missione: «…mi ha mandato a portare ai poveri un lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4, 18). L’unico potere pienamente umano che possediamo – e quindi divino – è quello di perdonare, recuperare, salvare, riportare in vita. Gesù ci mette in guardia dal non legare l’altro nei nostri lacci, fatti di giudizi e pregiudizi, di non inchiodarlo ai suoi sbagli, alle sue fragilità, di non soffocarlo con bassi moralismi. Occorre prestare molta attenzione a non legare l’altro con nessun legaccio, perché ciò che è legato rimane legato per sempre, questo è il significato profondo di: «tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo» (v. 18a).
Giudicare una persona per il male commesso è ucciderla; identificare l’altro con il suo sbaglio è ridurlo al suo sbaglio, mentre l’uomo supera infinitamente sempre sé stesso.