OMELIA XXV domenica del Tempo Ordinario. Anno A

Mt 20, 1-16

Il ‘padrone di casa’ esce alle cinque del pomeriggio per chiamare operai a lavorare nella sua vigna, quando il lavoro nei campi termina alle quattro.
Affinché i casi disperati, quelli che ‘nessuno ha mai preso a giornata’ (v. 7), i ‘perduti’, i falliti, i non idonei, gli irregolari possano anche loro sentirsi a casa nella ‘sua vigna’, egli esce oltre il tempo massimo.
L’amore non si rassegna ad avere figli ‘disoccupati’, ovvero impossibilitati a portare frutto, a compiersi come esseri umani, a conoscere il compimento del cuore.
A sera poi, giunge la resa dei conti. Tutti vengono retribuiti con la medesima moneta: un denaro, la paga giornaliera a quell’epoca.
Ma alcuni – i primi – si lamentano del trattamento ricevuto. Sono questi i ‘primi della classe’, quelli che si ritengono buoni, giusti, onesti, puliti ma soprattutto meritevoli di un trattamento di favore da parte del loro piccolo dio in virtù dei servigi prestati. ‘Pensarono che avrebbero ricevuto di più’ (v. 10a). Ma “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” dice il Signore (Is 55, 8 – Prima lettura di oggi).
Nel mondo di Dio non è questione di più o di meno, di merito o di colpa, di essere buoni o cattivi, giusti o disonesti. Nei suoi confronti non c’è merito che tenga. Ciò che salva è sapersi una cosa sola con Lui, uno con l’Uno.
Pensare l’amore di Dio condizionato dalla nostra statura morale è ricadere nella logica commerciale della religione. Siamo a prescindere divini, partecipi tutti – indipendentemente dal vissuto – del Tutto. A noi prenderne consapevolezza, e a quel punto si diverrà capaci di lasciare l’io e il mio.
“Dilige et quod vis fac”. Ama e fa’ ciò che vuoi, dice Agostino.

Il dramma della religione è pensare che alcuni possano meritarsi l’amore di Dio un po’ più degli altri in virtù della propria prestazione, salvo divenire poi intransigenti e duri con gli altri che non ce la fanno e nei confronti del medesimo Dio ritenuto troppo buono con i lascivi e i peccatori.
Dio non ama perché siamo buoni e capaci ma perché è l’Amore di cui siamo tutti impastati e dunque manifestazione.
Insomma, l’Amore ama semplicemente perché non può farne a meno.