Mt 16,13-19
Il Vangelo è esperienza e racconto di una persona, non esposizione di un’idea, per cui essere cristiani non significherà essere ortodossi (credere rettamente ad una dottrina) ma vivere l’ortoprassi, ovvero ciò che Gesù ha detto e fatto.
In ultima analisi ciò che chiamiamo Dio, non è un’idea da definire o da credere, ma piuttosto vita da viversi.
Gesù domanda ai suoi: Chi sono io per te? (cfr. v. 15). Ossia, cosa c’entro io con la tua vita?
I religiosi risponderanno – come sempre – con ‘verità’ dogmatiche e assolute: le professioni di fede, le affermazioni dei Catechismi, aderendo agli insegnamenti del magistero, ma in fondo questo è il modo migliore per non lasciarsi toccare la vita, non essere disturbati, non sporcarsi le mani. I religiosi son coloro che pensano di conoscere Dio nella misura in cui lo ‘pensano’, come presumere di dissetarsi pensando la formula dell’acqua.
Aver fede, seguire Gesù, insomma essere cristiani significa piuttosto giocarsi la vita in ciò che lui ha indicato come il segreto della felicità, o se vogliamo come salvezza: impegnarsi per la giustizia, la pace, la tolleranza e la libertà degli umani.
D’altra parte Gesù non ha mai fatto catechesi su Dio, ma l’ha reso presente, l’ha incarnato nella sua persona solidarizzando con gli ultimi. A Giovanni Battista che chiedeva ragione a Gesù del suo essere l’inviato di Dio, Gesù risponde: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (Lc 17, 22).
La risposta di Pietro potrebbe essere tradotta così: Tu sei l’atteso del mio cuore. Sei acqua per la mia sete inestinguibile, e io mi son dissetato perché ti ho bevuto. Sei la luce che fa sbocciare vita dalla povera zolla di terra che sono. Perché «un Dio che non faccia fiorire l’umano non merita che ad esso ci dedichiamo» (D. Bonhoeffer).
E poi c’è la risposta di Gesù. E qui riporto le parole di commento dell’amico Alberto Maggi. Di meglio non potrei scrivere su questi versetti così complessi e troppo spesso fraintesi:
«Visto che finalmente uno dei discepoli ha compreso che lui è il Figlio del Dio che comunica vita, Gesù dice “Ecco, tu sei il primo mattone con il quale costruire”, ossia col quale edificherò la mia chiesa. Il termine greco “ecclesia” significa assemblea di quelli convocati. E le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Ovvero: le forze della morte non avranno mai potere su una comunità fondata sul Dio vivente”, la vita sarà sempre più forte della morte. E continua Gesù: “A te darò le chiavi del regno dei cieli”; è utile ricordare che “regno dei cieli” in Matteo non significa l’aldilà, ma la società alternativa che Gesù è venuto ad inaugurare. Queste chiavi non sono come poi nell’immaginario è diventato Pietro con le chiavi che apre e chiude, non sono quello, qual è il significato delle chiavi? Colui al quale venivano date le chiavi della città era il responsabile della salute e del benessere delle persone che ci stavano dentro; questo è il significato di avere le chiavi. E poi Gesù usa un’espressione tipica dei rabbini: “Ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. È il linguaggio rabbinico con il quale si indicava insegnare, interpretare la legge dichiarando vera o no la dottrina. Sono gli scribi quelli che avevano le chiavi della scienza. Quindi Gesù assicura che una comunità che è basata sulla fede nel Dio vivente e quindi mette al primo posto l’oggetto della creazione, il bene, il benessere dell’uomo l’insegnamento di questa comunità è avallato dal cielo.